Vecchie Storie | Page 6

Emilio de Marchi
boschi ricordano per esempio, certe solitudini dell'antica
Caledonia: e il più bello si è che in Caledonia non ci sono mai stato. Ma
non si è letto inutilmente a dodici anni una dozzina di romanzi del
Walter Scott, seduti all'ombra di un'antica quercia, o anche solo sul
pianerottolo della scala. Se non è come in Scozia, vi son tratti nei
boschi di Limbiate che potrebbero essere trasportati in Scandinavia e
allora è ancora più bello per chi ama viaggiare a piedi.
Le piante d'un verde scuro perenne, di un fusto magro e diritto, che si
apre a larga piuma o a ombrello, collocate a migliaia l'una presso l'altra
in una disposizione quasi simmetrica, e così per l'estensione di cinque o
sei miglia: i viali che tagliano questi eserciti di piante e si prolungano,
si sprofondano nel verde a perdita d'occhio: le forre di altissime erbe
filiformi dove non entrano che i bracchi: la terra gialla, rotta da
immensi crepacci dove la picchia il sole: molle, melmosa, scivolante
come il sapone dove l'acqua stagna: gli scoli d'acqua piovana che
scendono a formare pozze, paludi, laghetti, e fin dei laghettoni perenni
circondati da conifere con increspature e piccole tempeste sconosciute
al mondo, come quelle delle anime modeste: e poi aggiungete un
silenzio profondo, non interrotto nemmeno dal solito stormire delle
fronde (il pino è taciturno) e i chiarori celestiali e mistici dell'aria al
disopra di tanto verde, e le fiamme vaganti del tramonto veduto
attraverso alle fessure del bosco.... tutto ciò voglio dire, mi ha tante
volte trasportato fuori di me in una regione dove io sento che son
vissuto un'altra volta, forse diecimila anni fa.
Oh la poesia, amici, è pur la dolcissima cosa! Voi uscite un mattino
d'autunno, con un libro, mettiamo Aleardo Aleardi, nella tasca del
carniere, col fucile ad armacollo, col vostro cane che vi saltella innanzi,
girate dietro le case, pigliate verso il cimitero vecchio, date un'occhiata
a quei poveri morti e a quella croce bianca dove da cinquant'anni dorme
una contessina morta.... No, no, non è poesia.
Io fui innamorato a sedici anni di quella contessina, ed è una storia che
ho promesso di contare qualche volta. Io l'ho seguita attraverso alle
ombre del bosco, più contento quanto più le nebbie del novembre
entravano fra le piante a rannuvolare i contorni della selva.
Una mattina, giusto sui primi di novembre, mentre io correvo prima di
colazione attraverso la pineta, pensando al mio futuro poema sulla
_Risurrezione dei Morti_, fui a un tratto arrestato da una fiamma che si

agitava in fondo, e che stentava quasi a rompere il velo bianco e gelato
dalla nebbia. Anche _Pill_, il mio cane da caccia, si fermò su quattro
piedi, col muso in alto, e la piccola coda piena di meraviglia. La
Cherubina mi aveva detto prima ch'io uscissi di casa che si sarebbe
fatta colazione alle undici, più tardi del solito, perchè si aspettava mio
fratello coi parenti della sposa.
Da due giorni si lavorava in cucina a preparare quella colazione, che
doveva essere un banchetto di Sardanapalo con un piatto di selvaggina
e un brodo ristretto che pareva giulebbe. L'importanza d'una casa si
conosce a tavola e mio padre voleva, come si dice, far colpo su della
gente un po' materiale.... Ma sono cose che non hanno nulla a che fare
con quella fiamma che, come ho detto, si agitava in fondo al bosco e
che stentava quasi a rompere il velo fitto della nebbia.
Strano un fuoco nei nostri boschi! Man mano che io mi avvicinavo, la
fiamma si faceva più distinta, e già si potevano vedere nel chiarore
rosso del fuoco disegnarsi alcune figure radunate in cerchio come a un
tristo complotto di negromanti.
La solitudine e la selvatichezza del luogo che s'internava in una specie
di crocicchio: quelle ombre ballonzolanti sul fusto delle piante al
mobile ed acceso riflesso della fiamma fumosa e resinosa, avrebbero
ben potuto far credere a un convegno di malviventi, se dopo alcuni
passi non avessi riconosciuto le gambe lunghe e magre del signor
segretario comunale, e accanto a lui la figura tozza del console e due o
tre guardie campestri.
Il console s'era seduto in adorazione del fuoco sopra un pezzo di tronco.
Battistino, una delle guardie campestri con un ginocchio a terra cercava
di far saltare un carbone acceso nel buco della pipa, mentre il signor
Boltracchi, il segretario, scaldava le parti meno rispettabili della sua
persona, voltando le spalle al focolare, colle gambe aperte come un
compasso. Quella brava gente si trovava da qualche ora nel bosco e col
freddo del novembre e coll'erba bagnata di guazza, sentiva volontieri il
beneficio d'una scaldatina.
Il console quando mi vide, toccò l'orlo del cappello colle due dita e
disse:
--Riverisco, sor avvocato.
Il buon uomo era un mio contadino e nella
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