Ugo: Scene del secolo X | Page 3

Ambrogio Bazzero
ricordate?
--Voi non ci eravate.
--C'era Gausprando; ma so. A Gambazza sulla destra del Po.
--Chi ci appose il vidit e dichiarò bandita la pergamena? Il nostro
signore Adalberto istesso, piantando poderosamente un pugnale al
luogo del suggello. Quella la fu impresa! Di lì a un mese, del castello
non rimase in piedi che un arco e quello per dire:--Di qui passarono i
prigionieri!--So che il padre mio ghignava burlescamente e fieramente,
e so che mi disse:--Figliuolo, quando suoni, ricordati che hai in mano
tutt'altra cosa che un'azza. Guarda che, stringendo troppo, il rame si
ammacca, e le ammaccature tra noi soldati le cerchiamo soltanto sul
petto nudo e non sull'arme e sui bagagli--mi disse. Tant'altre cose mi
raccomandò, finchè s'ebbe quella seconda impegolata a scuoiargli la
faccia, e allora mi fece cenno che le labbra arsicce erano buone
all'avemaria e ai paternostri, lasciò il castello e cercò un monistero.
--Se lo conobbi, quel valente Guidaccio!
--E Guidaccio anche lui suonò su quella scalea di Ugo, quando c'era
ancora, più arcigno di questi, il suo padre Oldrado, che fu quello, sapete,

il quale aizzò i suoi servi contro l'araldo che bandiva le giornate d'armi,
sì che quelli a vespero spalancarono usci e finestre, e mostrarono scuri
da boscaiuoli fra certe manacce rabbiose!
--Rammentate la storia di Guidinga.
--Gesummaria!
Tacquero, perchè vicino era il castello del loro signore, e quel discorso,
spiato o frainteso, poteva far scricchiolare alla sera istessa i cavalletti di
tortura.
I due, alla parola del saluzzese che era di guardia, risposero come il
motto d'ordine portava quel dì: entrarono, salirono una scala, e, trovato
in capo a un corritoio un paggetto, il quale sonnecchiava su un
archipanco, Guidello domandò:--Filippuccio, ne attende il nostro
signore?
Il fanciullo, come se d'intorno agli occhi si togliesse le ragnatele,
affaccendandosi colle manine, rispose:--Io non credevo che foste per
ritornare dalla guerra sì tosto.... Ero lontano assai, sulle ginocchia della
madre mia... là giù.... Ah siete? Il sonno coglie, e si va, si va....
Chiedete?
--Ne attende messere Adalberto, e dove?
--Sì, Guidello araldo, e voi, maestro: nella sala della torre.--E li
precedette nel corritoio fino in fondo, s'arrestò a destra, alzò un usciale,
e disse:--Sono tornati: a vostra obbedienza, messere.
Al comando:--Siano messi dentro e vattene, Filippuccio--i tre
atteggiarono la persona alle linee marcatissime della loro professione:
l'araldo si drizzò dignitoso, come se gridasse un bando, l'altro si piegò,
come se sfogliasse un messale nella cappella, il paggetto si storse,
sollevando l'usciale con sforzo per verità degno di compassione.
Entrarono.
La sala era triste: e, a dire quello che si poteva scorgere alla poca luce
delle tozze finestre, presentava le muraglie saldissime e nude: solo
ornamento una statuina di un beato protettore con lancia e pastorale,
male allogata in una nicchia che pareva una balestriera; e, sotto quella,
due drappi, tutti a polvere e sudiciume, forse due stendardi, forse due
coltri mortuarie: v'erano dei seggioloni a masse d'ombre così nere da
far richiamare alla fantasìa il frate bianco che sopra vi stesse nel coro, e
un macchinoso tavolaccio, adatto a sostenere quello che sosteneva, la
potentissima persona di un cavaliero.

Messer Adalberto era un uomo nel vigore pieno della età virile:
mostravasi vestito di panni oscuri: volto verso la porta: e dalla sua
posizione, da sedere tanto irrequieto, chiaramente può dirsene l'indole
ruvida e l'attesa impaziente. Nè più, nè manco: erano quelli i tempi in
cui un cavaliere noverava, come un sellaio, le fibbie e i chiodi della sua
sella da battaglia e neppure sbagliava in un sopranome a quegli arnesi,
e forse forse moriva senza tutto avere appreso il paternoster dalla bocca
della madre o del chierico: tempi in cui, io credo, che la natura non si
sarebbe messa su via fallata, se avesse ai priminati delle famiglie
baronali dato a vece di cranio addirittura un elmo, a vece di lingua una
lama, e per cervello qualcosa di bollente che fuori uscisse e fosse
mostruoso cimiero. Io non so se anche allora i bambinelli si
tormentassero colle fasce se così fosse stato, non mi sarebbe punto di
maraviglia se ancora trovassi nelle cronache che la madre di Garmario
saluzzese, madonna Sandra, torturasse le membra del suo figliuolo,
serrandole in una bandiera insanguinata, o che il padre di Forcone da
Ivrea recasse al castello per la bisogna materna della sua moglie
Ageltruda la soprasberga dell'inimico bucata e ribucata a colpi di spada:
l'avo Attone da Susa legò con sacramento ai nascituri dal suo Rogerio il
lembo stracciato a morsi della sozza camicia che vestiva nella torre
della fame. Messer Adalberto era primogenito, ed aveva avuto madre
come l'ebbe Garmario, padre come quello di Forcone, ed avo della
taglia di Atto. Finchè vissero i suoi, imparò che nelle sale feudali
l'agnello santo del perdono ci sta figurato solo per spasso di qualche
frate dipintore,
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