Ugo: Scene del secolo X | Page 2

Ambrogio Bazzero
gli arconcelli delle finestre lucenti di
strisce rosse dal sotto in su, che venivano dai focolari posti in mezzo
alle stanze; sullo sfondo si vedeva una montagna già sfumata nella
nebbia del crepuscolo.
I nostri due procedevano silenziosi, e, benchè sotto la protezione del
loro signore, pure affrettavano il passo e sulla punta dei piedi.
E l'uno calava il cappuccetto sulla testa tonsurata e nascondeva la
pergamena sotto la tonaca, e l'altro storceva una mano all'indietro ad
assicurarsi che la tromba non percuotesse coll'elsa della spada o col
pugnale: e quegli guardava sospettoso le pieghe del drappo ventilante
dallo strumento del compagno, come se da quelle dovesse uscirgli il
malanno: e questi imprecava il calzolaio che aveva fatto pel chierico
scarpe così disacconce per suolo sospettato.
Passavano e guardavano. Quelle tavolacce di quercia parevano fatte
apposta per spalancarsi ad un'insidia: da quegli arconcelli i tizzoni che
erano sui focolari con maledetta furia potevano essere sbattacchiati
nella strada. Basta! il santo patrono tenesse buoni i gloria! Ma la
preghiera era smezzata: e l'uno calcolava che con quell'antacce si
facevano tante aste, coi chiodi tante punte, colle toppe tante scuri: e
l'altro si ricordava, ai tempi che il padre soffiava alla guerresca, e
ch'egli giovinetto gli era accanto col piffero per imparare a toccare il
soldo e le graffiate, si ricordava di una certa mistura diabolica che
venne giù da una balestriera a impegolare i baffi al vecchio trombettiere,
e a conciare un povero ribaldo come un torcione di resina acceso nelle
gazzarre soldatesche. Si continuava il gloria.... Ah! erano passati da

quell'uscio, da quelle finestre: si poteva fiatare. Di più: messere il
chierico sapeva leggere, sapeva pingere le capitales litteras dei messali,
cioè le iniziali, sapeva a mente i canoni accetti al vescovo di Saluzzo;
d'armi credeva intendersi sin troppo, dicendo:--A chi le toccano, le
toccano le ferite e la morte!--Niente altro: pure in quel momento nella
sua fantasìa staccava tante maglie dall'armerìa del castello e tante spade,
trovava gagliardi che le vestivano, le impugnavano, e moveva contro
quelle case di rabbiosi: no, prima alla rôcca di Ugo. Messere l'araldo
sapeva suonare con voce dolcissima o squarciata: Guidello proprio
avrebbe voluto essere a fianco del padre, tra un'oste poderosa, e dare
alle trombe il fragore delle petriere, curve le travi sotto ai pesantissimi
massi. Ma sì, ma sì! Altro che il cappuccio aguzzo a vece di pennacchio
da cavaliero: altro che il bastone d'araldo in luogo di un buon lanciotto!
Fuori della curte di messer Ugo c'era una cappelletta: qui i due fecero
un inchino pieno di gratitudine, e da qui cominciarono a mettersi l'uno
a fianco dell'altro, e salirono per la stradetta, la quale, grigiastra,
lasciava vedere tante e tante pozzette d'acqua dai melanconicissimi
riflessi di cielo: erano le orme dei cavalli passativi il dì innanzi, dalla
curte al castello di messere Adalberto. E stradetta e cavalli menavano al
sicuro.
Incominciò Guidello:--Dacchè suono la maledetta, vi dico, Ingo, che
non mi parve mai mi tormentasse le labbra come stassera, sulla scalea.
Sapete: ieri a mattina, abbiamo pubblicato il bando al castello
d'Ildebrandino; a dì basso, al ponte levatoio di Baldo; l'altro ieri a
vespro, alla piazza di Aginaldo. Che si è raccolto? Tanto da poter
proclamare solennemente, al primo armeggiamento festoso, che il
cavaliero di Rupemala, quello di Roccanera, e messere della curte di
santo Uperto, sono fregiati di cortesìa cavalieresca. Dico vero?
--Verissimo, Guidello.
--E sapete: tra voi che avete appreso l'arte della lettura e me che la
professo a obbedienza del nostro padrone, lasciando da parte la
cavallerìa, e discorrendo della tascuccia che ogni cristiano ha allato se
deve camparla, tra noi si è spartito un bel mucchietto.
--E di quelli d'argento.
--Così si dà e si riceve a gloria di messere Domineddio; e così si fa
differenza tra il vento che buffa alla foresta e il fiato dei battezzati.
--Verissimo, Guidello.

--Mi diceva il padre mio, il valente Guidaccio....
--A cui Dio conceda la verace gloria!
---Mi diceva così, nè più, nè manco. E il suo fiato da battezzato, eh!
Ingo, fu come l'uragano nella tromba, contro ai dannati nella Spagna e
contro ai miscredenti in Terrasanta, a fianco del padre di messere
Adalberto, il cavaliero Brunone.
--Requiem in pace!
--A fianco del cavaliero Brunone, lo dicevano della stirpe di Tubalcain.
--Santa Maria!
--Quella era voce del padre mio! Quella ci voleva adesso là sulla scalea
della curte di Ugo, ma ad un patto.
--Tromba d'argento.
--Messere, no: lo strumento suonasse come quelli, dicono, del dì del
finimondo.
--E le mura di quella rôcca fossero come quelle di Jerico, per virtù
soprannaturale, che noi possiamo chiedere colla preghiera.
--Così fosse!
--L'altro dubitò, e riprese:--Ed io avrei voluto che la pergamena
parlasse come la condanna che appiccammo alla porta di Lamberto, il
ribello a messere il vescovo di Saluzzo. Vi
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