Storia di unanima | Page 7

Ambrogio Bazzero
fosse figlio del suo tempo, malato per troppa delicatezza morale, avrebbe avuto questi torti in comune con quasi tutti i pi�� grandi poeti dell'umanit�� che non conobbero le matematiche leggi dell'equilibrio.
?No, scriveva il Rousseau, la natura non mi ha creato per godere; ella ha distillato nel mio cervello il veleno di quella felicit�� ineffabile di cui ha messo il desiderio dentro il mio cuore.?
�� del Wagner la sentenza che non riesce a nulla se non chi �� sempre malcontento di qualche cosa.
Nel Giornale intimo di H. F. Amiel, che suscit�� recentemente in Francia un interesse assai vivo, e che offre la storia di un altro pensoso solitario, s'incontra spesso questa scoraggiante compiacenza di voler essere infelice quasi a dispetto della natura. Anche Amiel scriveva: ?Diffido di me e della felicit�� perch�� mi conosco.? E se non fosse la paura di offendere la santa modestia dell'amico, vorrei trovare nel Leopardi, nell'Heine, nel Byron, nel Tasso i suoi fratelli maggiori.
Da questo stato dell'animo, prodotto alla sua volta da inevitabili condizioni fisiologiche, deriva spesso quella specie di malattia della volont��, che si trasforma in una mutabilit�� continua di desiderii e di propositi, in una incostanza di simpatie, in trasporti vivi e in profondi abbattimenti, come fu veramente la vita del nostro. Per superare una difficolt�� a cui sarebbe bastata una schietta e franca deliberazione, noi lo vedemmo riprendere gli studi classici all'Accademia di Milano, coll'intenzione di laurearsi in lettere, e poi smetterli per darsi tutto allo studio delle lingue moderne, e tentare la pittura, e maledire libri e pennelli, per tuffarsi nella politica e nella carit��, senza che nella sua coscienza entrasse mai la persuasione che tutto ci�� gli potesse servire a qualche cosa. Sempre egli ritornava poi alla solitudine del suo studio, scoraggiato, affranto, ammalato di desiderii infiniti, e cercava la pace al bromuro di potassio.
Colla storia dell'Anima si collegano gli scritti che seguono, cio�� gli Schizzi dal mare o Acquerelli com'egli li intitol�� variamente.
Sono un poema marino, in una forma sciolta dal verso, ma risonante di melodie interne, luccicante di colori e d'immagini, in cui l'anima del Bazzero trabocca ne' suoi momenti migliori.
Se �� vero che questo dovr�� essere il sembiante della futura poesia, il giorno che avr�� rotto i ceppi della vecchia e della nuova metrica, al Bazzero potr�� forse venire anche una piccola lode di precursore, che egli non sogn�� quando scrisse dietro il naturale impulso.
La citt��, il popolo, il mare, i villaggi dell'incantata riviera ligure, i marinai dalle schiene di bronzo, le bagnanti, i colori dell'onda, il suo anelare immenso, i misteri delle sue profondit��, una chiesetta, una barchetta, un canto, un gruppo di aloe nodosi, dei fiorellini, eccovi una serie di piccoli schizzi e di acquerelli, animati da una continua emozione e legati da una erudizione abilmente usata e argutamente presa a gabbo. Il poeta trasfonde il suo io in tutto ci�� che vede e tutto vivifica di s��. Qualche pagina scintilla d'una meravigliosa evidenza. Sembra che la parola stessa rinunci alla sua logica natura per diffondersi in colore e in luce.
Leggete com'egli descrive i grigi pennacchi dell'onda che vengono a incalzarsi, a sfioccarsi, e il suo gonfiare e suo colmo trasparente verdissimo e il concavo lenissimo e il fragore e il dibattersi delle ondine che sommuovono ciottoli, e i mille rivoletti che ridiscendono con troscie lucenti (vedi a pag. 158). La lingua, come sentite, si ripiega sotto l'urto dell'impressione e scattano fuori delle arditezze felici che piacquero di poi in libri meno significanti. Si avrebbe torto di volere in una prosa comune ci�� che scoppia continuamente con impeto lirico, ci�� che divaga nei mille capricci dell'ora, dell'estasi, della tristezza, dell'umorismo e si perde nelle azzurre profondit�� di una filosofia panteistica. Aprite il libro e leggete subito, per farvi un'idea dell'uomo, il bozzetto Sera a pag. 184. Se vi pare che due dei nostri trecento lirici classici abbiano pi�� profondamente sentito il dolore di un tramonto, e lo spasimo voluttuoso di quel dondolarsi a fior d'acqua e di quello spandersi dall'anima sui colmi dell'onda, di quel vanare nell'infinito, dite pure che il Bazzero �� un poeta inutile di pi��. Per me, apro il mio cuore, certi tratti conservano ancora dopo tanti anni una freschezza che molte lodate liriche di quel tempo hanno perduto da un pezzo: e rileggendo gli ultimi acquerelli, ��ncora, Stelle cadenti, Barcanera, ecc., non so perch�� mi risuoni nell'anima qualche accento dell'Heine, e a volte dello Sterne, senza essere n�� dell'uno n�� dell'altro.
Non c'�� imitazione, ma forse anche il Bazzero derivava da una fonte comune, che ha le sue scaturigini in un'elevata coscienza della nostra pochezza in faccia all'universo.
Il pessimismo, che fa tanto desiderare al Bazzero la morte e il riposo sottoterra, non �� come la rigida convinzione leopardiana un precetto sterile, ma �� un dolore che cerca riposo disciogliendosi. Nel mare dell'essere egli
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