Speranze e glorie; Le tre capitali | Page 5

Edmondo de Amicis
il sermone: tendenza
consueta di chi parla a persone di cui desidera il bene ardentemente. E
di questo voi non dubitate, ne son certo. Voi non credete a quello che
dice un grande poeta malinconico: che lo spettacolo della gioventù è
odioso agli uomini maturi. No, non è vero, per la maturità che lavora e
che pensa. Può bene anche un uomo di senno e di cuore risentire, in
mezzo a voi, quell'ombra di mestizia che ci suol dare la vista d'un
nostro ritratto di vent'anni addietro, il quale ci rammenta affetti morti e
illusioni perdute. Ma da questo leggero senso di rammarico si scioglie
prontamente il nostro pensiero quando la gioventù che ci sta dinanzi è
quella che siede nella più alta scuola d'uno Stato, quella a cui è affidato
per l'avvenire l'onore intellettuale d'un popolo. Dal rimpianto del nostro
passato noi ci volgiamo allora all'ammirazione del vostro, o studenti;
del passato, voglio dire, della grande famiglia universitaria, giovane
eternamente. Poichè questo ci tocca nel vivo dell'animo: che nella
classe a cui appartenete sia eguagliato lo splendore delle speranze da
quello delle tradizioni; che lungo tutta la via della nostra storia nuova,
dalla prima germinazione oscura dell'idea nazionale fino agli ultimi
trionfi dorati dal sole, si ritrovino mille nomi della vostra bella schiera;
che non si sia dato da settant'anni a questa volta un momento triste,
difficile o solenne, in cui la patria non abbia udito la gran voce sonora
delle vostre legioni esprimere prima di lei i suoi entusiasmi più nobili e
le sue risoluzioni più audaci. Questi ricordi ci ridesta la vostra presenza.
Voi avete consolato della vostra ammirazione festosa gli ultimi anni
travagliati dei grandi vecchi, avete vendicato col grido giovanile
ingiustizie memorabili, scosso da inerzie colpevoli classi cittadine

troppo paurose d'ogni cosa; avete dato teste eroiche ai patiboli, petti di
ferro alle barricate, rigagnoli di sangue ardente fra il Ticino e l'Adige,
sui monti di Sicilia e sulle mura di Roma. E la gioia infinita che
troviamo in queste memorie viene in gran parte dalla profonda,
incrollabile, superba certezza che, se la storia si ricominciasse, essa non
avrebbe per cagion vostra nè un dolore di più nè una gloria di meno.
Ma v'è un'altra ragione, anche più potente, del nostro affetto per voi.
Quando noi ci arrestiamo sgomenti davanti alle affollate e multiformi
difficoltà, contro le quali, nel campo della speculazione e dell'opera,
urta la fronte la generazione a cui appartengo e quella che la precede,
noi ricorriamo con la mente alla gioventù universitaria, come in una
grande guerra dubbiosa l'esercito di prima linea volge il pensiero al
secondo esercito, che si ordina e si addestra nei campi, aspettando la
sua ora. E con un conforto grande ci raffiguriamo nuove forme dell'arte,
una più alta sapienza della legge, nuove infermità vinte, nuovi e
maravigliosi cooperatori delle braccia umane, qualche idea splendida e
semplice, oggi ancora velata, cospirante alla soluzione di quell'enorme
problema sociale che ci tormenta la ragione e ci affanna l'anima; e
come i contorni incerti di una bella terra lontana, vediamo le somme
linee di una società più giusta, più fraterna, più felice della nostra; che,
in fondo, è il più santo voto del cuor di tutti. E allora diciamo in cor
nostro:--Là, in mezzo a loro, tutto questo cova, spunta, s'abbozza,
ribolle--sono essi l'avvenire in cui abbiamo fede--le speranze che ci
aiutano a vivere son le loro ambizioni--e la luce più viva che scalda il
nostro tramonto è quella che c'irradia alle spalle l'aurora della loro
gioventù. E allora, quanto v'amiamo! Allora quel sentimento d'orgoglio
chiuso che tien poco o molto ogni generazione matura si stacca come
scoria vile dall'animo nostro; allora non comprendiamo più perchè
ciascun di noi non debba desiderare come una fortuna che voi gli
passiate sul corpo per salire a un gradino più alto sulla scala dell'arte e
della scienza: allora benediciamo ai vostri studi, alle vostre gioie, alle
vostre irruenze con un entusiasmo nel quale è ancora tutta la freschezza
della vostra età, con un affetto di cui non vi può dar l'immagine che la
stretta dell'amplesso paterno.
Sì, noi v'amiamo come l'avvenire vivente. E seguitiamo i vostri passi

con quel sentimento di curiosità pensierosa, col quale si guarda chi
parte per un paese sconosciuto e mirabile, come s'egli avesse già sulla
sua persona un riflesso delle maraviglie verso cui move. E infatti, che
cosa sia per avvenire di questa mole deforme della società presente, di
cui la cima sfolgora e il fondamento vacilla, che cosa sia per nascere
dalle condizioni attuali del vecchio mondo, rimasto nell'ombra in
mezzo agli opposti crepuscoli degli astri tramontati e di quelli non sorti
ancora, battuto dal flutto di moltitudini irritate, delle quali cresce il
malcontento con la cultura, e schiacciato dal peso di eserciti immensi,
destinati a conflitti che sgomentano l'immaginazione, e
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