un magnifico castel,?Ch'è impossibile di certo?Di trovarne uno più bel.
Ivi tien la sua dimora?Di quei popoli il signor.?Egli è bello e giovin, fuora?Che ha il difetto d'esser mor.
Stando assente dal paese?D'una vergin s'invaghì.?Era bella e bolognese,?E difatti la rapì.
Ma suo padre, ahi sorte dura!?Che mandarla giù non può,?Si rivolse alla Questura?Che due guardie ci mandò;
E alla patria abbandonata?La volevan trascinar,?Ma la bella innamorata?Non voleva ritornar,
E rivolta al suo diletto?Ci diceva: ?o bel re mor,??Fa il piacere, tienmi stretto,??Non lasciarmi con costor!
?Deh, non fia che il fato amaro??M'allontani dal tuo sen!??Ah, difendimi, mio caro,??Che ti voglio tanto ben!?
Ma il re moro pensieroso?Resta muto sul sofà?E un pensiero mostruoso?Nello sguardo e in cor gli sta!
Poichè il moro non risponde?Sta la bella in oppression;?Straccia via le chiome bionde?E si butta in ginocchion.
E poi fece tante cose,?Disse, pianse e supplicò...?Ma quel porco non rispose,?Stette zitto e la piantò!
SONETTO
CONTRO UN ANONIMO CHE CI FECE LA BURLA DEL TELEGRAMMA[*]
O scellerato che tirasti su?Quel genitor che il cielo a me largì,?Hai ben ragion che sei non si sa chi?E il telegramma senza il nome fu!
Empio, domanda pure a chi vuoi tu?Se son cose da far quelle che lì,?Che sta sicuro che se fosti qui?Staresti un pezzo di non farne più,
Che colla forza la maggior che ho?Ti vorrei scorticar da capo a piè?E con la pelle tua farmi un paltò!
Nessun ti salverebbe, a meno che?Fosti bello e robusto anzichenò?E promettesti di sposarmi me.
[*] L'ottimo Signor Pietro Sbolenfi si portava candidato alla Deputazione in tutti e tre i Collegi di Bologna. Il vero merito non è mai conosciuto e lo Sbolenfi rimase in terra. Un malvagio, rimasto avvolto nelle ombre del mistero, telegrafò allo sconfitto candidato che invece la sorte gli aveva sorriso. La famiglia quasi impazzì di gioia, il signor Pietro diede le dimissioni dal suo impiego di ff. di inserviente di III classe e si trovarono sul lastrico. Onta sul cranio indegno che pensò simile orrore!
SI DESCRIVE UN TEMPORALE?NEL DESERTO
Che veggo? Che miro? Rimbomba già il tuono!?Il tempo mi pare che faccia da buono!?Ahi, miser chi a casa scordato ha l'ombrel!?La grandine è grossa che pare una noce?E omai per vederci nel scuro feroce?Accender fa d'uopo frequenti candel.
Che veggo? Che miro? Un giovin garzone?Che solo soletto traversa il ciclone?E par che non curi dell'acqua il piombar!?Ah, certo tra i lampi lo guida l'amore!?Mel dice la speme che m'arde nel core!?Ah, certo quell'uomo mi viene a sposar!
Deh, frena il furore, fa un poco più adagio,?Che tu nol rovini, mio buon nubifragio!?Deh, fa che non giunga bagnato al mio sen!?Che veggo? Che miro? Ah, cruda mia stella!?M'illuse la speme, ho fatto padella![1]?Egli era il Questore, non era il mio ben!!
[1] Prendere un granchio: Decapodus brachiurus Linn.
LA MIA GHIRLANDA POETICA[*]
Ad Enrico Zanettini
I
Questa è la mia ghirlanda! Il lauro eterno?Intrecciato co' fior, m'orna la fronte?E così salgo il dilettoso monte?Che il Nume de' poeti ha in suo governo.
Questa è la mia ghirlanda e state, o verno?O venti, o geli, non le arrecan onte.?La bagnò l'onda del Castalio fonte,?Col raggio la baciò l'astro superno.
Eccola: a voi, poeti, a voi la mostro?Olezzante di rose e di v?ole,?Pura qual neve che sull'alpe fiocca.
Eccola dei color di croco e d'ostro,?Leggiadra come un fior che s'apre al sole:?Dio me l'ha data e guai chi la tocca!
II
Ma se tu, Zanettin, toccarla vuoi,?L'Argia t'adora e non se ne lamenta?E se magari ami fiutarla, il puoi,?Che tu ne sarai lieto ed io contenta.
Vieni Enrico ed ammira i color suoi:?Prendi e sciupala pur se ti talenta,?Poi che intatta la porgo agli occhi tuoi?E sguardo indagator non la sgomenta.
La conservai qual me la diede Iddio?Pura nella favella e nei pensieri,?Sogno dei vati e de' guerrier desio;
Ma poichè mi son legge i tuoi voleri,?Ad un solo tuo cenno, Enrico mio,?Te la do tutta quanta e volentieri!
[*] Enrico Zanettini domestico di S.E. Reverendissima Mons. Vescovo di Fano, respinse indignato l'effemeride dove scriveva la Poetessa, perchè infetta di massime eterodosse. La signorina Argia gli pose affetto e gli inviò una corona di cardi con questi sonetti.
LA BATTAGLIA DI SADOVA
S'ode a destra tirar per la valle,?A sinistra si tira lo stesso;?D'ambo i lati si vedon le palle?Da pistole montate scoppiar.?Lunghi e grossi ch'è un gusto guardarli?Sono i pezzi che scarican spesso,?E se alcuno provasse a tastarli?Sentirebbe la mano a scottar.
Colle gambe per aria da un lato,?Colle gambe per aria dall'altro,?Cade a terra il meschino soldato?Che l'amante al paese lasciò.?Fieramente si drizza l'ardito,?Cautamente si china lo scaltro,?E ciascun ha un enorme prurito?Di pigliar meno botte che può.
Da una parte si sente un comando,?Una bomba dall'altro si sente;?Gli ufficiali che impugnano il brando?In un lampo si vedon venir.?C'è chi un membro sul campo ha perduto?E rimane per sempre impotente:?C'è chi morto in un fosso è caduto,?Nè più mai gli fia dato d'uscir.
Finalmente Bismarck grida in fretta:??Abbiam vinto!?--ed un'eco risponde!?Va pur là, Cancelliere polpetta,?Anche questa la devi pagar!?Assassini!
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