Ricordi di Parigi | Page 7

Edmondo de Amicis
cupo e monotono, come d'un
solo enorme treno di strada ferrata che passi senza fine. Allora tutta la
vita gaia di Parigi si riversa là da tutte le strade vicine, dalle gallerie,
dalle piazze; arrivano e si scaricano i cento omnibus del Trocadero; le
carrozze e la folla a piedi che viene dagli scali della Senna; flutti di
gente che attraversa la strada di corsa arrischiando le ossa, s'accalca sui
marciapiedi, assalta i chioschi da cui si spandono miriadi di giornali, si
disputa le sedie davanti ai caffè e rigurgita all'imboccatura delle strade.
Si accendono i primi lumi. Il grande banchetto comincia. Da tutte le
parti tintinnano e scintillano i cristalli e le posate sulle tovaglie
bianchissime, distese in vista di tutti. Zaffate d'odori ghiotti escono dai
grandi restaurants, di cui si vanno illuminando le finestre dei piani
superiori, lasciando vedere scorci di sale luccicanti e ombre di donne
che guizzano dietro le tende di trina. Un'aria calda e molle, come di
teatro, si spande, pregna d'odor di sigari d'Avana, dell'odore acuto
dell'assenzio che verdeggia in diecimila bicchieri, delle fragranze che
escono dalle botteghe di fiori, di muschio, di vesti profumate, di
capigliature femminili;--un odore proprio dei boulevards di Parigi,

misto di grand'albergo e d'alcova,--che dà alla testa. Le carrozze si
fermano; le cocottes dai lunghi strascichi discendono, fra due ali di
curiosi, e spariscono come freccie nelle porte delle trattorie. Fra la folla
dei caffè suonano le risa argentine e forzate di quelle che siedono a
crocchio. Le «coppie» fendono audacemente la calca. La gente
comincia a serrarsi, in doppia fila, alle porte dei teatri. La circolazione è
interrotta ogni momento. Bisogna camminare a zig-zag, a passetti,
respingendo dolcemente gomiti e toraci, fra una selva di cilindri e di
gibus, fra i soprabiti neri, le giubbe, i gran panciotti spettorati e le
camicie ricamate, badando sempre ai piedini e alle code, in mezzo a un
mormorìo sordo, diffuso, affrettato, sul quale echeggiano i colpi sonori
delle bottiglie stappate, dentro un polverìo finissimo che vien su da
quel terribile asfalto che brucia i talloni alle ragazze. Non è più un
andirivieni di gente; è un ribollimento, un rimescolìo febbrile, come se
sotto la strada divampasse una fornace immensa. È un ozio che pare un
lavoro, una festa faticosa, come una smania e un timore di tutti di non
arrivare in tempo a prender posto al gran convito. Il vastissimo spazio
non basta più alla moltitudine nera, elegante, nervosa, sensuale,
profumata, piena d'oro e d'appetiti, che cerca con tutti i sensi tutti i
piaceri. E di minuto in minuto lo spettacolo si ravviva. Il via vai delle
carrozze somiglia alla fuga disordinata delle salmerie d'un esercito in
rotta; i caffè risuonano come officine; all'ombra degli alberi si
stringono i dolci colloqui; tutto s'agita e freme in quella mezza oscurità,
non ancor vinta dall'illuminazione notturna; e un non so che di
voluttuoso spira nell'aria, mentre la notte di Parigi, carica di follie e di
peccati, prepara le sue insidie famose. Quello è davvero il momento in
cui la grande città s'impadronisce di voi e vi soggioga, se anche foste
l'uomo più austero della terra. È il lenocinio gallico del Gioberti. È una
mano invisibile che v'accarezza, una voce dolce che vi parla
nell'orecchio, una scintilla che vi corre nelle vene, una voglia
impetuosa di tuffarvi in quel vortice, e d'annegarvi...; passata la quale si
va a desinare benissimo a due lire e settantacinque.
E anche il desinare è uno spettacolo per chi si ritrova impensatamente,
come accadde a noi, in una trattoria vasta e rischiarata come un teatro,
formata d'una sala unica, cinta d'una larghissima galleria, dove si
sfamano insieme cinquecento persone, rumoreggiando come una

grande assemblea di buon umore. E dopo vien l'ultima scena della
meravigliosa rappresentazione cominciata alle otto della mattina in
piazza della Bastiglia: la notte di Parigi.
Ritorniamo nel cuore della città. Qui par che faccia giorno daccapo.
Non è un'illuminazione; è un incendio. I boulevards ardono. Tutto il
pian terreno degli edifizi sembra in fuoco. Socchiudendo gli occhi, par
di vedere a destra e a sinistra due file di fornaci fiammanti. Le botteghe
gettano dei fasci di luce vivissima fino a metà della strada e avvolgono
la folla come in una polvere d'oro. Da tutte le parti piovono raggi e
chiarori diffusi che fanno brillare i caratteri dorati e i rivestimenti lucidi
delle facciate, come se tutto fosse fosforescente. I chioschi, che si
allungano in due file senza fine, rischiarati di dentro, coi loro vetri di
mille colori, simili a enormi lanterne chinesi piantate in terra, o a
teatrini trasparenti di marionette, danno alla strada l'aspetto fantastico e
puerile d'una festa orientale I riflessi infiniti dei cristalli, i mille punti
luminosi che traspaiono fra i rami degli alberi, le iscrizioni di fuoco che
splendono sui frontoni dei teatri, il
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