Ricordi di Parigi | Page 6

Edmondo de Amicis
che le rimane, per
gettare l'oscurità su quello, in fondo al cuore forse più caro, che ha
perduto. È nondimeno prodigioso il vedere questa città, che parve un
giorno caduta in fondo, sotto il peso di tutte le maledizioni di Dio, dopo
sette anni, così splendida, così superba, così piena di sangue, d'oro e di
gloria! E si prova un sentimento inaspettato arrivandoci. S'era partiti
per l'Esposizione; era lo scopo, la prima cosa. Appena arrivati, diventa
l'ultima. Parigi che l'ha fatta, l'ammazza. Si pensa, sì, che c'è laggiù, in
fondo alla grande città, uno smisurato palazzo posticcio che contiene
molte bellissime cose; ma ci si pensa quasi con dispetto, come a un
importuno che voglia contendervi e turbarvi il godimento di Parigi. Il
primo giorno, l'immagine delle Torri del Trocadero m'era odiosa. Così
al Campo di Marte, estatici davanti a una bellissima ragazza inglese che
lavora, degnate appena d'uno sguardo la macchinetta ingegnosa che
luccica sotto le sue mani.
Arriviamo finalmente sulla Senna. Che largo e sano respiro! E come è

sempre bella questa grande strada azzurra che fugge, riflettendo i colori
allegri delle sue mille case galleggianti, fra le due alte rive coronate di
colossi di pietra! Davanti e dietro di noi i ponti lunghissimi confondono
i loro archi d'ogni forma, e le strisce nere della folla che brulica dietro
ai loro parapetti; sotto, i battelli stipati di teste s'inseguono; frotte di
gente scendono continuamente dalle gradinate delle rive e fanno ressa
agli scali; e la voce confusa della moltitudine si mesce ai canti delle
mille donne affollate nei lavatoi, al suono dei corni e delle campanelle,
allo strepito delle carrozze dei quais, al lamento del fiume e al
mormorio degli alberi delle due rive, agitati da un'arietta vivace che fa
sentire la freschezza della campagna e del mare. Anche la Senna lavora
per «la gran festa della pace» e par che spieghi più benevolmente
dell'usato, in mezzo alle due Parigi che la guardano, la sua maestà
regale e materna.
Qui il mio compagno non potè resistere alla tentazione di Nôtre Dame,
e salimmo sulla cima d'una delle due torri per vedere «il mostro.»
Ottima cosa che mette i pensieri in calma. Bisogna almeno dominarle,
queste mostruose città, in quel solo modo che ci è possibile: collo
sguardo. Salimmo sulla punta del tetto della torre di sinistra, dove
Quasimodo delirava a cavallo alla campana, e ci afferrammo all'asta di
ferro. Che immensità gloriosa! Parigi empie l'orizzonte e par che voglia
coprire tutta la terra colle smisurate onde immobili e grigie dei suoi tetti
e delle sue mura. Il cielo era inquieto. Le nuvole gettavano qua e là
ombre fosche che coprivano spazi grandi come Roma; e in altre parti
apparivano montagne, grandi vallate e vastissimi altipiani di case
dorate dal sole. La Senna luccicava come una sciarpa d'argento da un
capo all'altro di Parigi, rigata di nero dai suoi trenta ponti, che parevan
fili tesi tra le due rive, e punteggiata appena dai suoi cento battelli, che
parevano foglioline natanti. Sotto, la mole delicata e triste della
cattedrale, le due isole, piazze nereggianti di formiche, lo scheletro del
futuro Hôtel de ville, simile a una grande gabbia d'uccelli, e la réclame
smisurata e insolente d'un mercante d'abiti fatti che sfondava gli occhi a
mille e duecento metri di distanza. Qua e là, le grandi macchie dei
cimiteri, dei giardini e dei parchi; isole verdi in quell'oceano. Lontano,
all'orizzonte, a traverso a brume violacee leggerissime, contorni incerti
di vasti sobborghi fumanti, dietro i quali non si vede più, ma s'indovina

ancora Parigi; da un'altra parte, altri sobborghi enormi, affollati sulle
alture, come eserciti pronti a discendere, pieni di tristezze e di minaccie;
a valle della Senna, in una chiarezza un po' velata, come in un vasto
polverio luminoso, a tre miglia da noi, le architetture colossali e
trasparenti del Campo di Marte. Che belli slanci vertiginosi dello
sguardo da Belleville a Ivry, dal bosco di Boulogne a Pantin, da
Courbevoie al bosco di Vincennes, saltando di cupola in cupola, di
torre in torre, di colosso in colosso, di memoria in memoria, di secolo
in secolo, accompagnati, come da una musica, dall'immenso respiro di
Parigi! Povero e caro nido della mia famigliuola, dove sei? Poi il mio
amico mi disse:--Ridiscendiamo nell'inferno--e tornammo a tuffarci
nell'oscurità dell'interminabile scala a chiocciola, dove un rintocco
inaspettato della grande campana di Luigi XIV ci fece tremare le vene e
i polsi come un colpo di cannone.
E ritornammo sui boulevards. Era l'ora del desinare. In quell'ora il
movimento è tale da non poterne dare un'idea. Le carrozze passano a
sei di fronte, a cinquanta di fila, a grandi gruppi, a masse fitte e serrate
che si sparpagliano qua e là verso le vie laterali, e par che escano le une
dalle altre, come razzi, levando un rumore
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