Ricordi di Parigi | Page 5

Edmondo de Amicis

Ma non c'è di libero nemmeno il cielo. Al di sopra del più alto tetto del
quartiere, si disegna nell'azzurro, in sottili e altissimi caratteri di ferro,
il nome d'un artista delle nuvole che vuol farvi la fotografia. Non c'è
dunque altro che tener gli occhi inchiodati sul tavolino! No, nemmeno!
Il tavolino è diviso in tanti quadretti colorati e stampati, che vi offrono
delle tinture e delle pomate. Torcete il volto stizziti.... Ah disgraziati!
La spalliera della seggiola vi raccomanda un guantaio. Non resta altro
rifugio che guardarsi i piedi, dunque! No, non resta neppure questo
rifugio. Sotto i vostri piedi, sull'asfalto, c'è un avviso a stampatello che
vuol farvi mangiare alla casalinga in via della Chaussée d'Antin.
Camminando un'ora, si legge, senza volerlo, un mezzo volume. È una
inesauribile decorazione grafica variopinta ed enorme aiutata da
immagini grottesche di diavoli e di fantocci alti come case, che
v'assedia, vi opprime, vi fa maledire l'alfabeto. Quel Petit journal, per
esempio, che copre mezza Parigi! Ma bisogna o ammazzarsi o

comprarlo. Tutto ciò che vi si mette in mano, dal biglietto del battello
al contrassegno della seggiola su cui riposate le ossa nel giardino
pubblico, tutto nasconde l'insidia della réclame. Persino le pareti dei
tempietti, dove non s'entra che per forza, parlano, offrono,
raccomandano. Ci sono in tutti gli angoli mille bocche che vi chiamano
e mille mani che v'accennano. È una rete che avvolge tutta Parigi. E
tutto è economico. Potete spendere fino all'ultimo centesimo credendo
sempre di fare economia. Ma quanta varietà di oggetti e di spettacoli!
Nello spazio di quindici passi vedete una corona di diamanti, un mazzo
spropositato di camelie, un mucchio di tartarughe vive, un quadro a
olio, una coppia di signorine automatiche che nuotano in una vaschetta
di latta, un vestimento completo da contentare l'uomo «più
scrupolosamente elegante» per otto lire e cinquanta centesimi, un
numero del Journal des abrutis con un articolo a doppio taglio
sull'esposizione delle vacche, un gabinetto per gli esperimenti del
fonografo, e un bottegaio che dà il volo a un nuvolo di farfalle di penna
per adescare i bimbi che passano. A ogni tratto vedete schierate tutte le
faccie illustri della Francia. Non c'è città che in questo genere
d'esposizione eguagli Parigi. L'Hugo, l'Augier, mademoiselle Judic, il
Littré, il Coquelin, il Dufaure, il Daudet, sono in tutt'i buchi. Incontrate
dei visi d'amici da tutte le parti. E nessuna impressione, neanche dei
luoghi, è veramente nuova. Parigi non si vede mai per la prima volta; si
rivede. Non ricorda nessuna città italiana; eppure non par straniera,
tanto vi si ritrovano fitte le reminiscenze della nostra vita intellettuale.
Un amico vi dice:--Ecco la casa del Sardou, ecco il palazzo del
Gambetta, ecco le finestre del Dumas, ecco l'ufficio del Figaro--e a voi
vien naturale di rispondere: Eh! lo sapevo.--Così riconoscendo mille
cose e mille aspetti, continuiamo a girare, rapidamente, in mezzo a
incrociamenti di legni da cui non vedo come usciremo, a traverso a
folle serrate che ci arrestano all'improvviso, nelle ombre deliziose del
Parco Monceaux, intorno alle grandi arcate leggiere delle Halles,
davanti agli immensi «magazzini di novità» assiepati di carrozze,
intravvedendo, di lontano, ora un fianco del teatro dell'Opera, ora il
colonnato della Borsa, ora la tettoia enorme d'una Stazione, ora un
palazzo incendiato dalla Comune, ora la cupola dorata degli Invalidi, e
dicendoci l'un l'altro mille cose, e le stesse cose, e con la più viva
espansione, senza pronunziare una parola e senza ricambiarci uno

sguardo.
Avevo inteso dire che uno straniero a Parigi non si accorge quasi che ci
sia l'Esposizione. Baie. Tutto conduce il pensiero all'Esposizione. Le
torri del Trocadero si vedono effigiate da tutte le parti, come se mille
migliaia di specchi le riflettessero, e l'immagine del Campo di Marte vi
si presenta per mille vie e sotto mille forme. Tutta la popolazione
sembra ed è infatti d'accordo per fare ben riescire la festa. V'è un
raffinamento universale di cortesia. Tutti fanno la loro parte. Fin
l'ultimo bottegaio sente la dignità dell'ospite; si legge in viso a ogni
parigino la soddisfazione d'essere «azionista» del teatro in cui si offre
al mondo il grande spettacolo, e la coscienza di essere un oggetto
d'ammirazione. Il che serve moltissimo a rendersi davvero ammirabili.
La grande città fa il bocchino, è premurosa, vuol contentar tutti. E
infatti a tutti i bisogni, a tutti i desiderii, a tutti i capricci, ha provvisto,
in mille modi, a ogni prezzo e a ogni passo. Per questa «festa del
lavoro» c'è la febbre. Il lavoro, la pace, la grande fratellanza, la grande
ospitalità fraterna, risuonano da ogni parte. E forse, anzi certo, vi si
nasconde sotto un altro sentimento. È l'amor proprio ferito in un'altra
gloria, che s'afferra tutto alla gloria presente, per compensarsi della
passata; ed esalta con tutte le sue forze il primato
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