in mezzo le
nostre miserabili valigie di letterati.
Appena s'ebbe ripreso fiato all'albergo si tornò sui boulevards, davanti
al Cafè Riche, attirati come farfalle al lume, senz'accorgercene. Strano!
Mi pareva d'essere a Parigi da una settimana. La folla però ha un
aspetto alquanto diverso dai tempi ordinarii. Abbondano le faccie
esotiche, i vestiti da viaggio, le famiglie di provincia, affaticate e
stupite; i visi bruni del mezzogiorno e le barbe e le capigliature
biondissime del settentrione. Sul ponte di Costantinopoli si vede sfilare
tutto l'Oriente; qua tutto l'Occidente. Le solite gonnelle sono come
smarrite in quel pelago. Di tratto in tratto si vede una faccia giapponese,
un negro, un turbante, un cencio orientale; ma è subito travolto dal
fiotto nero della folla in cilindro. Ho notato molti soggetti di quella
innumerevole famiglia dei grandi uomini falliti, che tutti riconoscono a
primo aspetto: figure strane, col viso smunto e gli occhiali, coi capelli
cadenti sulle spalle, vestiti di nero, bisunti, con uno scartafaccio sotto il
braccio: sognatori di tutti i paesi venuti a Parigi in questa grande
occasione a tentare il terno della gloria e della ricchezza con una
invenzione meccanica o un capolavoro letterario. Questo è il grande
torrente dove annegano tutte le glorie di mezza taglia. «Celebrità» di
provincia e «illustrazioni» nazionali, gran personaggi gallonati e
blasonati, e principi e ricconi, dieci per una crazia! Non si vedono nè
faccie superbe, nè sorrisi di vanità soddisfatta. Son tutte goccie
indistinte dell'onda inesauribile, a cui non sovrastano che i giganti. E si
capisce da che molle formidabili, debba prendere impulso l'ambizione
della gloria per sollevarsi su questo pandemonio, e con che rabbiosa
ostinazione si rodano i cervelli per trovare la parola ed il grido che
faccia voltare le centomila teste di questa folla meravigliosa! E si prova
un piacere a esser là su quel lastrico sparso d'ambizioni stritolate e di
glorie morte, su cui altre ambizioni si rizzano e altre forze si provano,
senza posa; si gode di trovarsi là, come in mezzo a una gigantesca
officina vibrante e sonora; di sentirsi aggregato anche per poco,
molecola viva, al grande corpo intorno a cui tutto gravita; di respirare
una boccata d'aria su quella torre di Babele, assistendo da un gradino
della scala sterminata al lavoro immenso, confortati dal dolce
pensiero.... che si scapperà fra quindici giorni.
Poi facciamo una corsa di due ore, in carrozza, descrivendo un
immenso zig-zag sulla destra della Senna, per veder circolare la vita
nelle arterie minori di Parigi. Rivedo con vivo piacere quel
verdeggiante e splendido boulevard di Sebastopoli e di Strasburgo, che
par fatto per il passaggio trionfale d'un esercito, e quella infinita via
Lafayette, in cui le due striscie nere della folla si perdono allo sguardo
in una lontananza vaporosa dove pare che cominci un'altra metropoli.
Ripasso per quelle smisurate spaccature di Parigi, che si chiamano il
boulevard Haussman, il boulevard Malesherbes, il boulevard Magenta,
il boulevard Principe Eugenio, in cui si sprofonda lo sguardo con un
fremito, come in un abisso, afferrando per un braccio il compagno.
Andiamo al Rondpoint de l'Etoile a veder fuggire in tutte le direzioni,
come una corona di raggi, le grandi vie che dividono in una rosa di
quattordici allegri quartieri triangolari la decima parte di Parigi.
Ritorniamo nel cuore della città: percorriamo la rete inestricabile delle
piccole vie, piene di rumori, smaglianti di vetrine e affollate di
memorie; tutte obliquità e svolti maliziosi, che preparano le grandi
vedute inaspettate dei quadrivi pieni di luce e delle vie monumentali,
chiuse in fondo da una mole magnifica, che sovrasta alla città come una
montagna di granito cesellato. Per tutto è una fuga di carrozze cariche
di bagagli, e visi sonnolenti e polverosi di nuovi arrivati, che
s'affacciano agli sportelli a interrogare quel caos; e vicino alle stazioni,
file di viaggiatori a piedi, che s'inseguono colla valigia in mano, come
se uno l'avesse rubata all'altro. Non c'è un momento di riposo, nè per
l'orecchio, nè per l'occhio, nè per il pensiero. Sperate di bere la vostra
birra in pace davanti a un caffè quasi vuoto. Illusione. La réclame vi
perseguita. Il primo che passa vi mette in mano una lirica che comincia
con un'invettiva contro l'Internazionale e finisce coll'invitarvi a
comprare un soprabito da Monsieur Armangan, coupeur émérite; e un
momento dopo vi trovate tra le mani un sonetto che vi promette un
biglietto per l'Esposizione se andate a ordinare un paio di stivali in via
Rougemont. Per liberarvene alzate gli occhi. Oh Dio! Passa una
carrozza dorata di réclame coi servitori in livrea, che vi propone dei
cilindri al ribasso. Guardate in fondo alla strada. Che! A mezzo miglio
di distanza, c'è una réclame a caratteri titanici del Petit
journal,--«seicento mila esemplari al giorno, tre milioni di lettori»--che
vi fa l'effetto d'un urlo nell'orecchio. Alzate gli occhi al cielo, allora!
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