Poesie inedite vol. II | Page 8

Silvio Pellico
egli
irato invìa turba di sgherri
All'italo paese, onde sia tratto
Carico di
catene il formidato
Duce a Bamberga.
L'innocente duce
Stanza a que' giorni avea in Milan. Posava
Una
notte, ed in sogno a lui s'affaccia
Lo stuol de' cari, in varia guerra
estinti,
Fratelli suoi, col vecchio padre; e il padre
«Fuggi, gridava,
sei tradito!» E gli altri
Con affanno e singhiozzi ad una voce

Ripetean: «Fuggi, fuggi!»
Ei si risveglia,
E per quell'alme prega, e s'addormenta
Un'altra volta.
E in sogno ecco apparirgli
Il magno Otton primiero ed Adelaide,

Non cinta ancor di monacali bende,
Ma il serto imperial sopra la
fronte.
Meste eran lor sembianze, ed a lui: «Fuggi
Fuggi, dicean,
del figlio nostro l'ira!
Ira per te sarìa mortal!»
Si desta
Il nobil duce, e per quell'alme prega,
E s'addormenta
un'altra volta. E vede
Il tempo antico e la città solenne

Ove sorge il
Calvario, e là pur vede
Di Getsèmani l'orto, ed appressarsi
Una
frotta d'armati, e Iscarïote
Dare il bacio alla vittima!... Ed oh vista!

Iscarïote era Guelardo!
Balza
Spaventato destandosi Ebelino,
E que' tre sogni avvertimento
estima
Dell'angiol suo. Fuggir vorrìa; ma dove?
Ma perchè? Fugge
l'innocente mai?
Pochi istanti anelò fra que' pensieri
Di stupor, di

tristezza, e piena d'armi
Fu ben tosto la soglia. Udì Ebelino
Che dal
suo Imperador venìan que' ferri,
E il cenno di seguirli: ai manigoldi

Cesse con muto fremito la spada,
E porse ai ceppi gli onorati pugni.

Quasi ladro il trascinano, e Milano
E tutta Lombardia mira quel
crollo
Sì inopinato. Il prigioniero obbrobri
Soffre inauditi; e non
sarìagli pena
Dagli sgherri soffrirli: itale voci
Lo irridon per la via,
maledicenti
Al passato suo lustro. E quale esclama:
--Va, di rivolte
eccitator maligno!
Va, scellerata causa, onde su noi
Cesare versa il
suo tremendo sdegno!--
Qual:--Va, codardo degli Otton mancipio,

Che d'Italia campion far ti negasti!
Ben or ti sta de' tuoi servigi il
premio!--
Qual più schietto prorompe:--Erami noia
Udir chiamarti
_il giusto_; alfin delitti
Potrem di te sapere ed abborrirti!
Quant'è
lunga la via sino a' confini
Delle italiche valli, Ebelin tacque
Degli
spregi sofferti. Allor che in cima
Dell'alpe fu, rivolse gli occhi, e
alzando
Le incatenate braccia,--Oh maledetta
Troppo da' vizi tuoi,
misera patria,
Sclamò, non io ti maledico! Il cielo
Figli ti dia che
s'amino fra loro,
Ed amin te com'io t'amava e t'amo,
E più di me
felici acquistin gloria
Senza espïarla con dolori e insulti!

--Maledicila! gridagli all'orecchio
Una voce infernal.
--Ti benedico
L'ultima volta! ripres'egli.
E pianse
Siccome pio figliuol sulla ignominia
D'una madre infelice;
e gli sovvenne
Quanto già quella madre avea prefulso
In virtù fra le
genti, e a depravarla
Quante cagioni eran concorse! E grande
Su lei
di Dio misericordia chiese;
E dal dolce aer suo, dalle ridenti
Tutte
illustri sue sponde, ei nè le amanti
Ciglia diveller, nè il pensier poteva!

Satan che indarno occultamente spinto
Avealo ad imprecar la
patria terra,
Urlò di rabbia le sue preci udendo;
E di Lamagna per
alture e piani
Corse con questo grido:
--È alfin caduto
L'italo malïardo, il seduttore
De' nostri augusti, il
protettor di quanti
Di Lombardia traeano ad impinguarsi
Sul

germanico suol, genìa predace
Onde la tanta povertà cresciuta
In
quest'anni da noi! Tutti Ebelino
Nostri tesori al lido suo recava,
E
colà un trono alzar voleasi, allora
Che ad atterrar le ribellanti spade

Inetto fosse per miseria Ottone?
--Ebelin mora! Universal risposta

Fu del tedesco volgo. Ed obblïato
Da migliaia di cuori in un dì venne

Quanto a lodarlo aveali invece astretti
La sua mansüetudine, il
modesto
Non curar le ricchezze, il riversarle
Sulle infelici plebi, il
non mostrarsi,
Benchè pio verso gl'Itali, men pio
Ver gli stranieri.
Quella dianzi nota
Serie di virtù splendide cotanto,
Un incantesimo
vil parve ad un tratto,
Una menzogna. Convenìa disdirla:

Riconoscenza è grave pondo ai bassi.
Esultan se pretesto a lor si
porga
Di rigettarla, e attaccaticci morbi
Son odio, ingratitudine e
calunnia.
Conscio de' benefizi innumerati
Ch'egli avea sparso, avea
creduto ognora
L'irreprensibil cavalier che stretti,
A lui fosser
d'amor cuori infiniti.
Le ripetute indegne contumelie
Lo sorpreser,
ma tacque; e sovra tanta
Pravità de' mortali meditando,
Arrossì
d'esser uomo, e innanzi a Dio
Umilïossi. E vanamente ancora
Stette
Satan mirandolo e aspettando
Il desìo di vendetta e le bestemmie.

Chiama l'Onnipossente al suo cospetto
Tutti i ministri spirti, e a Satan
dice:
--Onde vieni?
E il maligno:--Ho circüita
Dell'uom la terra, e non rinvenni un santo.

Ed il Signore:--O di calunnie padre,
Non vedestù l'amico mio
Ebelino,
Ch'uomo a lui simil non racchiude il mondo,
Tanta nel suo
dolor serba innocenza?

E l'angiol di menzogna ambe le labbra
Si
morse, e disse:--Ov'è il suo pregio? Ei t'ama,
Perchè, in tuo amor
fidando, ei palesata
In breve spera sua innocenza. Il braccio
Estendi,
e più percuotilo, e vedrai
Se non t'impreca.
Ed il Signor:--Non forse
Giorni di prova assegno a' retti? Vanne:

Ebelino è in tua mano; anco sua vita,
Anco la fama sua, perchè
maggiore
Torni suo vanto e tua immortal vergogna.
L'avversario
precipite avventossi
Dal grembo della nube, onde i mortali
Atterrìa

lampeggiando, ed in un punto
Fu su roccia dell'alpi. Ivi gigante
Si
soffermò, e da questo lato i campi
Della lieta penisola mirando,
E
dall'altro le selve popolose
De' boreali, l'una e l'altra palma
Battè
plaudendo al sovrastante lutto
D'entrambo i regni, ed
esclamò:--Vittoria!
Di là scagliossi alla città del trono
E de' cento
felici incliti alberghi,
E delle orrende mura ove trascina
Sua catena
Ebelin. Desta il demonio
Ne' giudici, che Ottone a indagin chiama

Dell'alta causa, aneliti vigliacchi.
Temon, se reo non trovan l'accusato,

L'ira d'Otton, l'ira d'Augusta, l'ira
Di quel Guelardo che per essi or
regna;
E dove il trovin reo, speran più pingui
Gli onorati
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