Poesie inedite vol. II | Page 9

Silvio Pellico
salarii, e
maggior lustro.
Chi primiero è fra' giudici? Oh impudenza
Guelardo
stesso!
Oh come il core all'empio
Nondimen trema, udendo che s'appressa

L'irreprensibil catenato! E questi
Entra con umil, sì, ma non prostrato

Animo, e reca sulla smorta fronte
Quell'alterezza ch'a innocenza
spetta.
Cela Guelardo il suo tremore, e prende
Così ad interrogar:
--Qual è il tuo nome,
O sciagurato reo?
--Sono Ebelino
Da Villanova, amico tuo.
--Rigetto
L'amistà d'un fello: giudice seggo.
Che macchinasti co'
Lombardi?
In viso
L'accusato guardollo, e non rispose.
E Guelardo:--A lor
trame eri secreto
Eccitator; t'offrìan lo scettro, e pronta
Stava tua
destra ad accettarlo in giorno
Ch'ansio esitavi a stabilire, in giorno

Che, la mercè di Dio, non è spuntato.
V'ha fra i complici tuoi chi tua
perfidia
Al tribunale attesta.
E poichè muto
Serbavasi Ebelin, vengon a un cenno

Que' testimoni
nella sala addotti.
Eran duo di que' truci esclamatori
Di libertà, di
civiche vendette,
Di patrio amor, che ne' consessi audaci
Della

rivolta più fervean, più scherno
Scagliavan sui dubbianti e sovra i
miti,
E più capaci d'affrontar qualunque
Parean supplizio, anzi che
mai parola
Di codardia pel proprio scampo sciorre.
Questi eroi da
macelli, questi atroci
Ostentatori d'invicibil rabbia,
Come fur tolti a
lor gioconde cene,
E gravato di ferri ebbero il pugno,
E il patibolo
vider,--tremebondi
Quasi cinèdi, le arroganti grida
Volsero in turpi
lagrime e in più turpi
Esibimenti di riscatto infame,
Altre teste al
carnefice segnando.
Ad Ebelino in riveder coloro
Isfuggì un atto di
stupor:--Voi dunque?
Voi?... Ma, qual maraviglia? Oh! ben a dritto

Io sempre le feroci alme ho spregiato,
E ben diceami il cor quali voi
foste!
Ed appunto perchè troppe vid'io
Alme siffatte là nelle
congrèghe
Ove il mio plauso si cercava indarno,
E pochi vidi
eccelsi petti, avversi
Ad insolenza e a stragi, io mestamente

Presentii di mia patria obbrobri e pianto,
S'ella sorda restava a' preghi
miei,
E alle minacce mie, quando insensata
Io vostr'impresa
nominava e iniqua.
I testimoni balbettaro, e fisi
Gli occhi loro in
Guelardo, il concertato
Calunnïar sostennero. Ebelino
Più non
degnolli di risposta, e chiese
D'esser condotto anzi ad Ottone a cui

Parlar volea.
Respinge inutilmente
Guelardo quest'inchiesta, e così forte
La
ripete Ebelin, ch'un de' seduti
A giudicarlo generoso alzossi,

Sclamando:--La tua brama, o il più infelice
Fra gli accusati,
porteranno al trono
Le labbra mie.
Null'uom potè di quella
Anima schietta rattenere i passi:

Move
all'Imperador, franco gli parla,
E il pio monarca inducesi al colloquio.

Mentre dunque l'afflitto incoronato
Nelle regali, splendide pareti

Aspettava che a lui tratto venisse
Il già caro Ebelin, nella memoria

Gli ritornavan gli alti e numerosi
Servigi di quel prode, e l'amicizia

Che al magno Otton, suo padre, avealo stretto;
E commoveasi
ripensando quante
Volte quell'Ebelin con tenerezza
Lui prence
fanciulletto infra le braccia
Portato avea, quante paterne cure
Prese

per lui, quanti affrontati in guerra
Per sua difesa ardui perigli,--e il
core
Gli si volgea a clemenza.
Ode sonanti
Nelle vicine sale i trascinati
Ferri del prigioniero, e gli
si gela
Di pietà il sangue. E quand'entrare il vede
Pallido, smunto,
gli si gonfia il ciglio,
E magnanimo pianto a stento cela.
Ebelin pur
commosso era, calcando
Con vincolato piede oggi i tappeti,
Che
tante volte avea con dominante
Passo calcati, e intorno a sè veggendo

Tanti, che in altro tempo a lui dinanzi
S'inchinavan temendo, ovver
felici
Andavan s'egli a lor stringea la destra,
E ch'or s'atteggian
contegnosi, e quali
A sterile pietà, quali ad insulto.
Giunto Ebelino
alla presenza augusta,
Piegasi reverente, e aspetta il cenno:

--Favella, sciagurato: uom con più caldo
Fervor non brama tue
discolpe.
--Sire,
La mia innocenza esser dovriati scritta
Ne' lunghi intemerati
anni ch'io vissi
Di tua casa al servizio e dell'onore.
In inganno te
volto han miei nemici,
E me calunnia opprime.
--A tue parole
Aggiungi prova, e riputato il sommo
De' tuoi servigi
questo fia da Ottone.
--Se a te prova non son gli atti che oprai
Alla
luce del sol, l'abborrimento
Sperimentato mio contra ogni fraude,

Contr'ogni ingiusta ambizïon; se nulla
A te non dicon queste mie
sembianze
Imperturbate in così ria sventura,
Preclusa è a me di
scampo ogni fiducia;
Anzi alle leggi mia supposta colpa
È attestata
abbastanza. Altro non posso
Se non gli estremi del mio zelo sforzi

In quest'istante consecrarti, o sire,
Tai verità parlandoti, che forse

Più non udresti, se da me non le odi.

--T'ascolto, disse il rege.
Ed Ebelino
La propria causa obblïar parve, e diessi
A svolgere di
stato alti consigli,
I bisogni quai fossero additando
Delle schiere,
del popol, dell'altare,
De' tribunali, e della reggia stessa:
Quali i
provvedimenti unici, rotti
Ed efficaci ad impedir l'ebbrezza
Delle
rivolte, a raffermar lo impero:
Quali de' prischi imperadori, e quali


Del magno Otton le più laudabili opre,
E quai le insane; e come arduo
ognor sia
Seguir le prime e non errare; e come
Gli egregi prenci a
errar tragge talvolta
Adulante caterva. Accennò alcuni
Del sir
lusingatori, accennò il vile
Cangiarsi di Guelardo: e brevi furo
Su
lor suoi detti, e non degnò que' nomi
D'anime basse proferir neppure.

Ma que' rapidi detti eran gagliardi,
Siccome piglio di paterno
braccio,
Che sovra l'orlo d'un dirupo afferra
Perigliante figliuolo.
Otton si scuote.
Da verità sì energiche, da senno
Sì giusto e
luminoso ed esaltante
Non era stato mai colpito. In altri
Colloqui a'
dì felici il buon ministro
Parlava il ver, ma forse in più gradita

Guisa, sparmiante del suo re l'orgoglio.
Ora è il parlar solenne, il
grido urgente
D'uom, che vicino a morte anco un tributo
Di fedeltà
solve al monarca e al dritto,
Tutto dicendo che giovar del pari

Sembrigli al trono e alle regnate genti.
Alla beltà del vero e del
coraggio,
E di
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