di sdegno e di sospetto
Circa
l'imperadrice e i cortegiani
Ch'ella a sue nozze addotti avea di Grecia.
Ma la candida e ferma alma del pio
Ebelin s'adirò. L'imperadrice
E Otton con nobil gagliardìa difese,
E de' Greci sorrise. Ei sì facondo
Favellava, e amichevole e verace,
Che i più irati l'udìan con
reverenza:
Con tenerezza quasi, ancor che invitti
Nel feroce astio e
nell'ardente brama.
Di Guelardo lo spirto a quel congresso
Funestamente s'esaltò. Il diletto
Ebelino ei vedea, nella commossa
Fantasia, re, suscitator di gloria
Ad un popol redento. Il vedea bello
Giganteggiare in immortali istorie,
Com'un di que' supremi, onde la
terra
Lunghi secoli è priva; e sè medesmo
Socio vedea di quel
supremo, e a lui
Successor forse, e... Che non sogna audace
Ambizïon, se raggio ha di speranza?
Quand'ei fu sol con Ebelin,
ridisse
Le voci insieme intese, e commentolle
Coll'insistenza del
favore; e aggiunse
Maligno esame de' pensier, degli atti
D'Ottone, e
della Greca in trono assisa,
E degli astuti amici ond'ella è cinta.
Quasi certezza accolse i più irritanti
Dubbi e i minimi indizi di
periglio,
E gridò ingratitudine, e diritto
Alla rivolta. E a grado a
grado questa
Ei necessaria osò chiamare, e il pio
Ebelin concitarvi.
Lo interruppe
Finalmente Ebelin; duplice tela
Come già svolto
aveva agli adunati,
Svolse di novo al tentatore amico:
Qua la
turpezza del tradir, là i vani
Sforzi a potenza e gloria, ove bruttata
È
nazïon da lunghi odii fraterni.
Negli aneliti suoi s'ostinò il core
Di
Guelardo in quel giorno, e seguì poscia
A ridir con sofistica,
inesausta
Facondia per più dì l'empie sue brame;
Sì che non poche
volte il generoso
Ebelino in resistergli, dal mite
Considerare e dai
soavi detti
Passò a dogliosa maraviglia e sdegno.
Turbossene colui,
ma il turbamento
Ascose e il disamore, e da quel tempo
Crescente
invidia in sen covò tremenda.
Novi succedon fortunati eventi,
Ch'ognuno attesta glorïosi al senno
Dell'ottimo Ebelin; ma più
Guelardo,
Come negli anni primi, or della gloria
Del suo benefattor
non va giocondo.
Ei con geloso sospettante ciglio
Mira la sua
grandezza, e superarla
Vorria e non puote; e detestando, sogna
Dall'amico esser detestate; e pargli,
Laddove pria si belle in Ebelino
Virtù vedea, più non veder che scaltra
Ipocrisia. De' pervertiti è
proprio
Non credere a virtù; d'ogni più certo
Generoso atto dubitar
motivi
Turpi, ed asseverarli: in ogni etade
Così abborriti fur dal
mondo i santi.
Da quello stato di rancor, di mente
Ognor proclive a
gettar fango ascoso
Sovra l'opre del giusto, è breve il passo
Ad
assoluto di giustizia scherno.
In Lamagna Guelardo ad altri uffizi
Di grande onor da Ottone è richiamato,
Mentre Ebelin nell'itale
contrade
Resta moderator. L'ingrato amico
Sospetta ch'Ebelino
abbia con arte
Tal partenza promosso, a fin di trarsi
Uom dal
cospetto che in secreto esècri.
Del congedo gli amplessi ei rende a
quello,
Ma senza avvicendar come altre volte
Palpiti dolci di desìo
e di pena.
Infinto ei crede ogni atto ed ogni accento
Del più sincero
degli umani, e parte
Coi fremiti dell'odio, e maturando
Di non avute
offese alta vendetta.
--Cieco tanto io sarò che vero estimi
Suo
rifiuto ai ribelli? Or che si vaste
Son le congiure? Or che da lunghe e
infauste
Guerre è stanco l'impero? Or che d'illustre
Nome a
capitanarla, e di null'altro,
La penisola ha d'uopo? Or che oltraggiata
Dalla superba, greca, invida nuora
È quell'antica d'Ebelin fautrice,
La vantata Adelaide, che alle umìli
Ombre de' chiostri dalla reggia
mosse?
Or che Tëofania palesemente
Lacci a lui tende e sua rovina
agogna?
Il menzogner di me diffida: i vili
Diffidan sempre!
Allontanarmi volle
Non senza mira ostil: me di qui toglie
Per
regnar sol, per non aver chi forse
Sua sapïenza e sue prodezze oscuri.
All'amico ei rinuncia; ei nelle schiere
Del suo tradito Imperador mi
brama,
Nelle schiere d'Otton, contro a cui l'asta
Scaglierà in breve;
e tanto orgoglio è in lui,
Che nè lo sdegno mio, nè la sagacia
Non
teme, nè il valor! Perfido! io mai
Stato non fora a tua amicizia ingrato;
Alla mia ingrato ardisci farti: trema!
Valor non manca al vilipeso e
senno
Da smascherar tua ipocrisia. Ludibrio
Ne fur bastantemente il
sire, i grandi,
Le sciocche turbe, e insiem con loro io stesso!
Così
nel suo vaneggiamento infame
S'agita l'infelice, e non s'accorge
Che il re d'abisso più e più il possede;
Così travolve le apparenze
ogn'uomo
Che a livor s'abbandoni:
Ecco Guelardo
Giunto ai reali di Bamberga ostelli;
Eccolo
assaporante i nuovi onori,
Ma com'egro che, misto ad ogni cibo,
Sente l'amaro della propria bile.
Più sovra il labbro di Guelardo il
nome,
Come già tempo, d'Ebelin non suona,
O su quel labbro se
talvolta suona,
Laude non l'accompagna, e il favellante
Impallidisce,
e torvamente abbassa
La pensosa pupilla irrequïeta,
E la rïalza
sfavillando; e ognuno
Scerne che di compressa ira sfavilla.
Del
mutamento avvedasi esultando
Tëofania, s'avvedono i suoi fidi,
E al
convito di lei con gran decoro
Visto sovente è quel Guelardo assiso,
Ch'ella tanto agli scorsi anni abborria.
Ordiscono essi alcuna trama
insieme
Contro al lontano giusto? o la perfidia
Tutta covossi di
Guelardo in petto?
Un dì da quel convito esce il fellone,
E quasi
esterrefatto si presenta
Agli occhi del monarca, e a lui si prostra,
Ed
esclama:--Ebelino è traditore!
Le rivolte fomenta; alla corona
D'Italia aspira: sciolta è l'amistade
Che a lui mi strinse! Eternamente è
sciolta!
E false carte adduce in prova, e adduce
Di vili già ribelli, or
prigionieri,
Menzogne tai, che faccia avean di vero.
Ed il monarca
trabalzò, fu vinto
Dalle inique apparenze. Esitò ancora,
Dubitar
volle novamente; a novo
Esame ripiegò la scrupolosa
Afflitta anima
sua; ma le apparenze
Trionfaron più orrende e più secure.
Indi
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