soave
illusïon, presago
Di quell'orrendo palco e di que' neri
Veli, e del
manigoldo, e della scure!
E quell'oppresso era Ugonel! Colui,
Che
il senno de' miglior dicea innocente!
Di loco in loco errò Aldiger
lung'ora,
Indi all'ansante petto altra potenza
Tormentosa s'aggiunse.
Udì levarsi
Dalle regie pareti una celeste
Musica d'inni e corde, e a
quelle sedi
Egli tragge, vi giugne, e appena dice:
«Son trovador», si
schiudono le cinte
Dell'amplissima sala, ove al fulgore
Di faci
innumerevoli e di gemme,
Alla guisa d'un Dio, da inebbrïante
Pompa sedea bëato il re de' regi.
Cinquanta arpe sonavano, ed eletti
Trovadori ed elette trovadrici,
Bellissime di forma e verecondia,
Coralmente cantavano salute.
Al formidato e caro sir. Fra quelle
Vergini illustri, chi s'affaccia al guardo
Maravigliato d'Aldigero? È
dessa!
L'inimitabil Rafaella! Alcuna
Ei dianzi speme non nutrìa che
addotta
Ivi da' consanguinei ella venisse,
Inenarrabil giubilo
s'indonna
Dell'amante garzon; ma il foco ei cela,
E mira, e pènsa, e
ascolta, e più di prima
Vago di carmi ha il fervido intelletto.
Qual di
lui fassi l'esultanza, quando
Onorevol romor da tutte parti
S'alza di
gente che il ravvisa e dice:
--Non è quegli Aldiger? Certo, è Aldigero!
Il famoso Aldiger!--Lo stesso Ottone
Ode il pronto susurro, e
poichè tanta
Dell'estro d'Aldigero è qui la fama,
Vuole che un'arpa
a lui si porga e canti.
Penetrato era intanto ivi Romeo,
E testimon
d'onor sì grande al figlio,
Di tenerezza lagrimò: tremava
Nondimeno il canuto, a cui più noto
Era che al figlio suo, quanta
abbisogni
Innanzi ai re prudenza; egli tremava,
Conscio
dell'arditissimo desìo
Di verità che in Aldiger fervea.
Ed infatti
Aldiger, poste le dita
Sull'auree corde, e dolcemente svolta
Ossequïosa melodìa, la sacra
Maestà benedisse, indi i sublimi
Doveri commendando de' regnanti,
Osò mischiar con reverenti
encomii
Sentenze tai, ch'eran flagello al core
Di taluni fra i grandi,
e l'infiammato
Inno rivolse a pingere l'uom giusto,
Che i maligni
allontanano dal trono
Con atroci calunnie. E la pittura
Dell'improvvido vate apertamente
D'Ugonel presentava e le
sembianze,
E le virtù, ed il carcere. In suo cieco
Zelo pel vero il
trovador pregava
D'Augusto la giustizia a diffidenza
Contro orribili
accuse, e predicea
Indi a lui gloria, ed agl'iniqui infamia.
Otton s'alzò sdegnato, e mise un cenno,
E l'inno s'interruppe, e dalle
mani
D'uno scudier tolta al cantor fu l'arpa;
E la popolosissima
assemblea
Alzò lungo susurro, in cui sommesso
Plauso verso
Aldiger mostravan molti,
Ma plauso da rispetto e da paura
Alternamente soffocato. I cuori
Più ad Ugonello e ad Aldiger
propensi
Nuocer temeano maggiormente ad ambi,
Se quel plauso
sciogliean.
Qui l'assennato
Imperador volle calmare il moto
Di quella
moltitudine di menti,
Mostrando alma pacifica, e di novo
Sovra il
trono s'assise, e chiese il canto
Delle arpatrici. Ognuno imitò il sire,
Dissimulando la imprudente scossa
Data ai pensieri dal gagliardo
vate,
E dolcissima scese sugli spirti
Delle virginee voci insiem
sonanti
La musica celeste. Ognun per altro,
Benchè temprato a
palpiti più miti,
Volgendo la pupilla in sul monarca,
Contristar si
sentìa; chè nell'augusta
Faccia, atteggiata indarno alla quïete,
Balenava recondito corruccio,
E l'occhio suo fulmineo esser parea
D'imminente rigor nuncio tremendo.
I più avveduti spettatori scritta
La morte vi scorgean del pro' Ugonello.
Ad Aldiger s'approssimò
Romeo,
E--Che festi? gli disse sotto voce;
Che fia di te? Finta
indulgenza è questa,
Che te impunito breve tempo lascia:
Libero
uscirai tu di questa cinta?
E se pur libero esci, ove allo sdegno
Ti
sottrarrai del rege? Oh potess'io
Trarti di qui!
Pietosa a lor d'intorno
Volea la folla schiudersi allo scampo
Del
perigliante vate.--Uso alla fuga
Non son, disse Aldiger; se travïommi
Nell'impeto dell'estro il buon desìo,
Tal non è colpa che celarmi io
debba,
E molta ho fè nel retto cor del sire.
Sebbene irremovibil dal
suo loco,
Pur mesto era Aldiger, tardi mirando
Assai sciagure
sovrastanti, e prima
L'accelerato d'Ugonel supplizio,
E rimordeagli
coscïenza.--Io reo,
Secretamente a sè dicea, d'audace
Orgoglio fui;
me ne punisce Iddio!
Dopo il virgineo insiem sonante accordo,
Palma Ottone degnò batter con palma,
E sorridendo già sorgea,
bramoso
Di portar lunge da cotanti sguardi
Alfin l'arcana
impazïenza. Il passo
Rafaella avanzò, novo tintinno
Assumendo
sull'arpa, ed il cortese
Imperador si rifermò nel seggio,
Brevi
credendo reverenti augurii
Dalla ispirata udir vergine illustre.
Rafaella tremanti avea le bianche
Mani sovra le corde, e uscìa
tremante
Dal dolce petto il modulato suono,
E le guance arrossìano
e di pallore
Si ricoprìano, e il grande occhio fulgente
Errava
intimidito, e s'atterriva
Del re incontrando il formidato sguardo.
Quel gentil trepidar della fanciulla
Di tutte grazie adorna, intenerìa,
E maggiormente a lei tutti amicava.
Oh! prepotenza de' söavi incanti
Che la donna somigliano al bambino,
E pur la spargon di virtù
nascosa
Che ratta vince ogni viril fortezza!
Oh! come l'uom,
quell'apparente infanzia
Mirando in viso della donna, e in tutti
I
morbidissimi atti di quell'ente,
Gli s'avvicina con fiducia, e ardisce
Dirsi maggiore,--ed a quell'ente quindi
Che sì debol parea, tributi
solve
Di reverenza, e a sè maggior lo estima!
Per quel poter che
nelle forme regna
E nella voce della donna, e astringe,
Le feroci,
virili alme ad ossequio,
Dato alla donna è svolger ne' suoi detti
Mirabili ardimenti; ed ardimenti
Non sembran quasi, ma sospiri e
preghi.
Chi rivelato avea tal maestrìa
Alla vergin de' cantici?
Addolcisce
A sua voglia e fortifica. Ispirava
Pietà col suo tremor;
poi quella voce
Dianzi timida tanto, e quell'aspetto
Sembran di
cherubin conscio a sè stesso
Di grazia e d'autorevole potenza
Irresistibil. Ne stupisce Ottone,
Ma non puote adirarsene, e diletto
Anzi ne prova sommo. E Rafaella
Seppe scansar ne' generosi carmi
Quel periglioso, indefinibil punto
Di baldanza per ottimi consigli,
Che irritar puote qual pungente biasmo;
E non pertanto ella assai
disse a laude
Della giustizia ne' regnanti, e disse
Necessarii
gl'indugi, ove affrettata
Da
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