Poesie inedite vol. II | Page 3

Silvio Pellico
di natura aspetti.
Or contemplavan, bianchi di
spavento,
Le tempeste che visitan la terra
Come i ladroni, e menan
beffe al pianto
De' poveri, cui tutto han divorato;
Or lunge
ramingavano, e sui laghi;
E sui precipitevoli torrenti
E sulle
oceanine onde le spume
Ivan solcando ne' perigli, all'urto
Più feroce
de' venti, allor che il legno
E s'innalza e sprofondasi impazzato,
E
qual degl'imbarcati urla, qual prega
Con pentimento e con secrete
angosce,
Quale il nocchiero interroga, e il nocchiero
Non risponde,
ma sibila convulso.
Oltre a tai casi di terrore, a cui
Aldigero e
Romeo s'eran per lungo
Vario peregrinar dimesticati,
Da' lor nobili
cuori assaporata
Era la voluttà delle battaglie:
Nelle imprese
santissime, e il terrore
Conoscean delle stragi, e l'alta febbre
Della
sconfitta, e del trionfo i gaudii.
E sovente il canuto ad Aldigero

Avea parlato questi detti:
--A' vati
Uopo è molto veder, che terra e cielo
Offran lor di
magnifico e tremendo,
E ciò che s'è veduto indi in solinghe
Ore
volger nell'alma, conversando
Colla propria mestizia, e colle sacre

Memorie degli estinti, e col Signore
Eccoli ambi in Verona. Ivi li
trasse
La fama dell'eccelso intendimento,
Che tanti spirti còngrega
da mille
Contrade lontanissime, e la fama
Delle regali, portentose
pompe.
Spalanca i bei cilestri occhi Aldigero
Nel vasto anfiteatro,
inclito avanzo

Degli antichi Romani. Oh quanta folla
Sugli estesi
gradini è brulicante!
Quanto splender nel sottoposto foro,
Intorno al
soglio di colui che Italia
Regge e Lamagna, e in Occidente è primo!

--Oh padre! ei dice; qual soggetto a carme
D'italo trovadore, e
come il labbro
Di Rafaella, se in Verona or fosse,
L' alzerebbe
sublime! Un gran monarca
Che di due nazïoni i sommi aduna
Per
drizzar tutti i torti! E quel monarca
Giudice è tal, che può cotante
sciorre
Inveterate liti, e le può sciorre
O com'angiol di Dio,
disseminando
Sapïenza ed anelito di pace,
O com'angiol di Sàtana,
con ratto
Piglio i buoni strozzando od illudendo!
--Figlio, taci per or;

bevi a larg'onda
I robusti concetti, e le speranze,
E il paventar
magnanimo. Indi cresce
Dell'ingegno l'acume, e in avvenire,
A
fulminar le laide opre de' vili,
E a cingere di luce i generosi,
Ti
detterà più invigoriti i canti.
Terminò dell'augusto parlamento

L'affaccendato primo giorno, e allora
Fino al seguente dì venner le
regie
Cure sospese, ed il pensoso Sire
Collo scettro i baroni
accomiatava.
Gli applausi de' baroni Imperadore
L'acclamavan del
mondo, e le caterve
Piene di maraviglia e di letizia
Ripetean l'alto
grido.
Asceso Ottone
Sul candido destrier, per la più larga
Trapassa delle
vie (dall'eccheggiante
Arena al suo palagio) ampia corsìa
Tutta
sparsa di fiori e di tappeti
E d'ardenti profumi, entro le mura
Della
città scorrendo. A tanti viva
Il festoso clangor si maritava
Di cento
e cento trombe; ed a' guerrieri
Ed a' cavalli il cor battea sì lieto,

Qual batter suol della vittoria al suono.
Quel moversi de' popoli
irruente
Verso le regie case, un mar parea,
Che traripando inondi la
campagna,
E le universe voci, ancor ch'allegre,
Rombavan sì
moltiplici e sì ferme,
Che la tremenda ricordavan foga
Di città che o
si scagli alla rivolta,
O per subiti incendi o per tremoto
Impetüosa
dagli alberghi spanda
Uomini e donne, e per le vie cozzante
Strilli
fuggendo la insensata turba.
Si discernea ch'ell'era gioia, e pure
Era
una gioia che mettea spavento.
A quel mar traripato argine intorno

Incrollabil si feano estesi armenti

D'italici corsieri e di tedeschi,

Affrenati da' prodi, irti di lance,
E le precipitose onde giganti

S'agitavan represse gorgogliando.
In tali urti di gente il buon Romeo

Da una parte fu spinto, e da altra parte
Spinto venne il suo figlio, e
vanamente
Qua e là si cercan lungo tempo un l'altro,
E a chiamarsi
a vicenda alzan la voce.
Il sole iva all'occaso, e detto avresti
Ch'ei
discendesse in mezzo al gregge umano,
Tutto affollato sulla immensa
terra.
Quella vista, e la splendida vaghezza
De' nugoletti occidentali,
e il molle
Nell'aere della sera innominato
Religïoso incantamento, e
in blandi
Fremiti omai converso il fracassìo,
Ed a que' blandi

fremiti commista
La grata dissonanza or de' nitriti
Che le briglie
scotendo alza, presago
Della vicina stalla, il corridore;
Or di
persone salutanti, o mosse
A subitanee risa; or d'allungato
Grido di
chi da lunge appellar sembra
Con dolce affetto un qualche suo
smarrito,
De' trovadori commovea lo spirto.
Alle söavi
rimembranze è schiuso,
Più in quella vespertina ora che in altre

Dell'intero suo giorno, il cor dell'uomo,
Perocchè il dileguarsi della
lampa
Che a tutti è lieta, inchina ogni pensante
Ad affetti patetici, e
al ricordo
Del dileguarsi della vita. Allora
Diciam la requie a' nostri
pii, che insieme
Un dì con noi frangeano il pane, e al sacro
Ospital
nappo s'estinguean la sete,
E che falce di morte indi ha mietuto;
E
se remota è la natìa convalle,
L'invochiam sospirando, e riportiamo

Alle cene domestiche e alla pace
Del proprio letto il desïoso sguardo.

E le vergini piangono a quell'ora
Più dolcemente o la perduta
madre,
O l'amica, od il prode, a cui risposto
Avea già il cor, se non
le labbra: «Io t'amo!»
Ed a quell'ora tutto ciò nell'alma
Sente un alto
poeta, e più che mai
Con mistica armonia s'ordinan belle
D'egregi
fatti istorie entro sua mente.
Tal ben era Aldigero, e in sè volgea

Fantasie nobilissime, e lui pure
Premeva uopo di carmi. E nondimeno

Sue fantasie turbava una tristezza,
La tristezza gentil de' generosi,

Nel dire entro il cor suo, che, mentre tanta
Qui la festa fervea,
mentre brïaca
Di piaceri e spettacoli e conviti
Era pur la genìa,
carco di ferri,
In cupe volte di prigion, nel lezzo
E nel dolore un
Ugonel giacesse
Senza conforto di parola amata,
Nè di
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