Poesie inedite vol. I | Page 8

Silvio Pellico
e pensieroso usciva.
Oh quante volte insiem quella scalea?Ascendemmo del duomo inosservati!?Quante volte in quegli archi ei mi traea,?E là susurravam detti pacati?Sul beneficio d'ogni eccelsa idea,?Sui vantaggi dell'are all'uom recati,?Sulla filosofia maravigliosa?Che della Chiesa in ogni rito è ascosa!
Oh allorquando vi penso, io spero ognora?Che, pria di morte almen, quell'alto ingegno?Avrà veduta la s?ave aurora?Del promesso agli umani eterno regno!?Spero che quella forte anima ancora?Nodrito avrà del ciel desìo sì degno,?Che quel Dio che sol vuole essere amato?Avrà i tardi sospiri anco accettato!
Con reverenza visitava io pure?Altre in Milano vetustissim'are:?Quella ov'a Sant'Ambrogio ama sue cure?Il buon Lombardo con fiducia alzare,?Ed il sacel, dove Agostin le impure?Fiamme alfin volle in sacra onda smorzare,?E colà volgev'io nella mesta alma?Sete di verità, sete di calma.
Ed in talun di quegli alberghi santi?Una donna io vedea ch'erami stella;?E a lei movendo i guardi miei tremanti,?S'umil?ava mia ragion rubella:?Mi parea ch'a me un angiolo davanti?Stesse per me pregando, e allora in quella?Amica del Signor ponendo io speme,??Ah sì, diceva, in ciel vivremo insieme!?
Ma de' templi alla mistica dolcezza?Vinto non era appien l'orgoglio mio:?Il passo indi io traea con leggerezza,?E i gravi intenti rimettea in obblio:?Rossor prendeami appo colui che sprezza?Chi, pari al volgo, osa implorare Iddio:?Io mi volgeva a Dio, ma come Piero,?Interrogato, ahi! rinnegava il vero!
E poi non come Piero io mi pentiva?Con d?uturno, generoso pianto;?Incostante nodrìa fede mal viva,?E a guisa d'infedele oprava intanto:?Allor fu che la folgor mi colpiva,?E ogni mortal mio giubilo andò franto,?E in man mi vidi d'avversario forte,?Me condannante a duri ceppi o morte.
Oh lunghi di catene e d'infiniti?Strazi del core inenarrabili anni!?Ed oh! com'anco in giorni sì abborriti?Mia fantasia godea sciogliere i vanni,?E fingersi ogni sera entro i graditi?Templi, ed ivi esalar gli acerbi affanni!?Poche amate persone e i patrii altari?Erano allora i miei pensier più cari!
Oh quai mi parver secoli?Que' primi anni di duolo,?In che fra mura squallide?Vissi cruciato e solo!
Nè mai con altri supplici?Sorgea la prece mia,?Ed il desìo del tempio?La pace a me rapìa!
Mi si pingeano i fervidi?Relig?osi incanti,?Le grazie che sfavillano?D'in sugli altari santi:
E di Davidde i gemiti,?E gli avvivanti lumi,?E le armonie dell'organo,?E i mistici profumi,
E l'ineffabil agape,?Ove il Signore istesso?Pasce e solleva ad inclite?Speranze l'uomo oppresso.
Allor la vil perfidia?Del mondo io ricordando,?Dare ai profani gioliti?Giurava eterno bando,
E con insonni pàlpebre,?E con preghiera accesa?Chiedea versar mie lagrime?Ancora entro una chiesa.
Mi sovvenian le placide,?Ombre de' monasteri,?E le velate vergini,?Ed i romiti austeri:
E tormentosa invidia?Prendeami di que' petti?Ch'appo gli altari effondere?Doglia potean e affetti.
Ma in quella mia nel carcere?Brama de' sacri ostelli,?S?avi sensi teneri?Pur si mescean novelli.
Rendeva al Cielo io grazie?Che i genitori amati?Piangere almen potessero?Anzi all'altar prostrati.
Anzi all'altar che ai miseri?Sol può istillar virtute,?Che r?alzar può l'anime?Da angoscia più abbattute!

Un giorno alfine, oh fortunato giorno!?Nunzio ne venne che sariane schiuso?Della comun preghiera ivi il soggiorno:
E tratto per brev'ora allor dal chiuso,?Rividi il tabernacolo, ove alberga?Colui che in ciel di gloria è circonfuso.
Tempio quello non è ch'ardito s'erga?Sovra eccelse colonne, e in maraviglia,?Quasi reggia celeste, i cuori immerga.
Poco più che a magione umìl somiglia,?E pur ivi m'invase quel tremore?Che per solenne ossequio all'uom s'appiglia;
E per quell'ara palpitai d'amore,?Come mai palpitato io non avea,?E in ver sentii ch'ivi sedea il Signore!
Brev'ora fu, ma pure indi io sorgea?Trasmutato in altr'uom, portando in seno?Il Salvator che i mesti accoglie e bea.
E tale in que' momenti era il baleno?Della luce divina in me raggiante,?Che il patir mi parèa di gioia pieno,
E leve il ferro mi parea alle piante.

Oh di Spielbergo semplice chiesuola,?Ove non s'alzan preci altre giammai,?Che del mortal che cingesivi la stola,?E di viventi infra catene e guai,?Ah, in te risplende pur Quei che consola!?Quei, che del fiacco non respinge i lai!?Quei, che l'amaro calice accettando,?Com'uomo il rimovea raccapricciando!
Con qual desìo la settima festiva?Aurora io nel mio carcere attendea!?Per sei giorni in mestizia illanguidiva,?O la mente pensosa egra fervea,?E talor preda sì di larve giva,?Che il lume di ragion perder temea:?In quell'ore io talvolta Iddio cercava,?E, inorridisco in dirlo! io nol trovava.
Ma il giorno del Signor rivedea alfine,?E mettea lieto suon la pia campana,?E a s?avi pensier l'alme fea chine,?E a ricordanze dell'età lontana:?Potenze inespressibili, divine?Scemar parean l'orror della mia tana,?E a me, come a fanciul, batteva il petto?Di quel festivo bronzo al suon diletto.
Poi tutte disparian mie cure atroci?Quando il pietoso sgherro aprìa le porte,?E de' compagni mi giungean le voci,?E la imperante seguivam coorte;?Gli avvinti si porgean cenni veloci?Di costante amistà nell'aspra sorte;?Ma non a tutti amici ivi era dato?Incontrarsi, parlar, pregare allato.
Sempre, sempre novella, alta esultanza?Il commosso m'invase animo, quando?In quell'incolta ma pur sacra stanza?Posi il piè, mie catene strascinando,?E in simbolica vidi umil sembianza?Suoi sfolgoranti rai Gesù ammantando?Benedirci, e per noi con inesausto?Amore offrirsi al Padre in olocausto.
Colà il Signor mi favellava al core,?E la sua voce somigliava a quella?D'amorevole, ansante genitore?Che a sè un figliuolo sconsolato appella,?E ?Disgombra gli dite, ogni timore??Che mai mia
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