Poesie inedite vol. I | Page 9

Silvio Pellico
tenerezza io da te svella!??Veggio che disamar tu me non sai,??E ciò che indi tu vuoi, tutto otterrai!?
Ei mi diceva inoltre:--?Io t'ho punito??Non già per rabbia onde avvampar non soglio,??Ma perchè il prego mio non era udito,??E sì correvi per le vie d'orgoglio,??Che obbl?ato me avresti, e lui seguìto??Che l'alme adesca all'eternal cordoglio:??Con forte piglio il correr tuo rattenni,??Ma t'amai, t'amo, e per salvarti io venni!?
Io mi gettava allora a' piedi suoi?Con dolcezza ineffabile, e piangeva,?E sclamava: ?Signor, fa ciò che vuoi??Di questo figlio della debol Eva!???Sordo vissi, pur troppo, a' cenni tuoi,??Ma tua incorante voce or mi solleva:??Nulla sperar dovrei, ma poichè m'ami,??Un don ti chieggo ancor--ch'io ti r?ami!?
E poi prendea fiducia, e proseguìa?A lui tutti schiudendo i miei desiri:?Lo supplicava per la madre mia?Che sparso avea per me tanti sospiri!?Pel dolce padre calde preci offrìa!?Per tutti quegli amati onde i martìri?M'eran del martìr mio più dolorosi,?E ch'io tanto di me sapea bramosi!
Del Moravo castello umil tempio,?Quante grazie ti debbo soavi!?Il mio spirto p?etico alzavi?Dai terreni, opprimenti dolor.?Io sentiva entro te que' dolori,?Ma diversi, ma misti a contento:?Io chiedea raddoppiato tormento,?Purchè Dio m'addoppiasse l'amor.
Io il disprezzo acquistava de' ferri,
Ma non più quel disprezzo superbo?Che del vinto fa l'animo acerbo?Contro quei che nel lutto il gettàr.?Io sperava, io credea che i vincenti?M'assegnasser destin sì tremendo,?Non vil odio, ma sol rivolgendo?Di giustizia rigor salutar.
Io dicea che se in pugno tenuto?Uno scettro in que' giorni avess'io,?Gli avversanti dell'animo mio?Con isdegno atterrati avrei pur:?E scernea che son fremiti ingiusti?Que' dell'uom che da forti domato,?Non ripensa ch'ei forza ha sfidato,?Che d'un dritto essi i vindici fur.
Compiangea il fato mio, ma pensando?Qual dover mosse i giudici miei:?Ma pensando che in ciel li vedrei?S'io perdon ritrovava al fallir.?E di grazia per me sospiroso,?Supplicava ogni grazia per essi,?Presentendo i reciproci amplessi?Là dov'ira non puossi nodrir.
Della chiesuola de' prigioni uscito,?Io ritornava entro mia mesta cella?Col sen da mille affetti intenerito,?Con fantasia più generosa e bella:?L'ineffabil poter del santo rito?Avermi parea dato alma novella:?Ed intero quel dì lieto sciogliea?Di David gl'inni, ed inni altri tessea.
Oh facoltà di po?tar gioconda,?Ma più negli anni orribili del lutto,?Quando forza divina il core inonda?E d'eccelsi pensier lo infiamma tutto!?Quando nell'uom tal grazia sovrabbonda?Che a benedir sue croci indi è condutto!?Face di poesia! senza una chiesa,?No, non saresti in me rimasta accesa!
E se tal possa amabil dell'ingegno?In me si fosse per dolore estinta,?Languito avrei d'ira e superbia pregno,?O l'alma a vil furor sariasi spinta:?Della vita un frenetico disdegno?Spesso prendeami in tanti mali avvinta,?Poi la luce de' sacri inni tornando,?Io riponea l'empio disdegno in bando.
Il mortal che in mestizia s'inabissa,?E fero soffre ineluttabil danno,?Sempre in oggetti d'ira il guardo affissa;?Ogni umano gli par vile o tiranno;?L'altrui virtù al suo torbo occhio s'ecclissa;?In tutti sogna i benefizi inganno;?E fraterna pietà posta in obblio,?Disama e niega e maledice Iddio.
Filosofar s'immagina il fremente?Calunn?ando il mondo e il Créatore;?Ma chiudendo a' pensieri alti la mente?Tutto mira a traverso empio livore,?Bugiarda estima ogni men atra lente;?Satana è il suo maestro e il suo autore;?Armi date e coraggio a quell'ossesso,?Ed eccol trucidare altri o sè stesso.
Vicino a quella infame insania giacqui?Più d'una volta a' giorni incarcerati;?Ed allor tetramente mi compiacqui?Ricordando que' libri sciagurati,?Che nell'audace secolo in cui nacqui?Plausi a ferocia e suicidio han dati,?E col velen de' rei volumi in petto,?Volvea il fin dell'apostol maladetto.
Grazie, chiesuola, a' prigionieri amica!?Da te emanava inenarrato incanto!?Da te riedea la mia fiducia antica?Nell'assistenza del tre volte Santo!?In te il perdon non mi costò fatica!?In te d'amore e di dolcezza ho pianto!?In te ne' tristi dì ripigliai lena,?E sino al termin sopportai mia pena!
Improvvisa comparve un'aurora?Che distinguer dall'altre non seppi,?E la sera ivan sciolti i miei ceppi!?Ed uscii dall'orrendo castel!?Del decennio l'angoscia mortale?Un istante, un accento avea sgombra:?Dalla fossa qual reduce un'ombra,?Mi stupìan terra ed uomini e ciel.
Traversai valli e balze straniere,?M'avv?ai della patria a' bei lidi,?L'Alpe ascesi, ed oh gioia! rividi?La natíva penisola alfin.?Al dolcissimo letto del padre?Egro giunsi, ma giunsi felice:?Lui rividi e la mia genitrice;?Tra lor braccia mie pene avean fin!

Ahi! nuove, pene sempre cingon l'uomo,?Bench'ei talvolta in impeto giulivo?Tutte calamità creda aver domo!
Piansi più cuori amati onde me privo?Gli strali avean d'inesorata morte,?E più d'un ch'io lasciato avea captivo!
Allegrar mi volea della mia sorte,?Ma spesso in cupo involontario duolo?Mie deboli potenze ivano assorte.
Ciò ch'io patissi, Iddio conosce solo,?La mente rivolgendo a tanti cari?Del cui lungo martir non mi consolo!
Il mondo mi dicea! ?Se ancora impari?Ad ambir le mie feste e i miei sorrisi,?Sollevati saran tuoi giorni amari?.
Ma indarno sovra lui le ciglia affisi:?Ei più non mi rendea que' dì lontani?Ch'io con altre dolci alme avea divisi!
Gratitudin destavanmi gli umani?Che generosi mi plaudeano intorno,?Ma i plausi lor pur r?uscianmi vani.
In sì frequente di dolor ritorno,?Il loco ove ogni dì forza racquisto?è quel dove le sante are han soggiorno:
Ogni mattin là prono a' piè di Cristo?Breve, benefic'ora io volger amo,?Ed esco allor più dolcemente
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