Poesie inedite vol. I | Page 8

Silvio Pellico
metteami e in un pietà. Più
giorni
L'esecrai, l'osservai, gli porsi ascolto
Come a stupendo rettile,

e gli chiusi
I miei pensieri; indi scemò l'occulto
Raccapriccio, e
piegai più tollerante
L'alma alle grazie di quel falso ingegno.
Oh pe'
giovani cuori alta sventura
Lo scontrarsi in sagaci empi, che fama

Di lunghi studi grandeggiar fa al guardo
Dell'attonito volgo, e
d'intelletti
Che pur volgo non sono! Al rinnegato,
Pur non amandol,
mi parea di stima
Ir debitor per l'inclite faville
Del possente suo
spirto, e palesava
Ei di mia riverenza e d'amistade
Gentil, singolar
brama; e questa brama
Era al mio stolto orgoglio esca gradita.

Lunghe non fur tra noi le avvicendate
Confidenze ed indagini, e
m'invase
Giusto corruccio, e da colui mi svelsi:
Ma le illudenti sue
dottrine, a guisa
Di succhiante invisibile vampiro,
Stavan su me,
riedean cacciate, e furmi
A tutti i giovanili anni tormento.

Più vivo in me si raccendea l'amore
Delle case di Dio, quando rividi,

Bella Italia, il tuo sole animatore,
E m'accolsero i cari Insubri lidi,

Dove gli avi mostrar quanto al Signore
Fosser devoti e a grande
intento fidi;
Tal sacra ergendo maestosa mole,
Che a lodarla il
mortal non ha parole.
Troppo ancora in Milan l'anima mia
Tra giochi e alteri studii
vaneggiava,
E glorïosi amici e fama ambìa,
Ed ogni dì più folli
ombre afferrava.
Ma pur di salutar malinconia
Frequente un'ora i
gaudii miei turbava,
E al tempio allora io rivolgeva il piede,
E in
me scendea consolatrice fede.
E l'amato mio Foscolo infelice,
Sebben lui fede ancor non consolasse,

Talor volea con umile cervice
Mescersi all'alme per cordoglio lasse,

Che la bella de' cieli Imperadrice
Imploravan che a lor grazia
impetrasse;

E quando al tempio a sera ei mi seguiva,
Indi
commosso e pensieroso usciva.
Oh quante volte insiem quella scalea
Ascendemmo del duomo
inosservati!
Quante volte in quegli archi ei mi traea,
E là

susurravam detti pacati
Sul beneficio d'ogni eccelsa idea,
Sui
vantaggi dell'are all'uom recati,
Sulla filosofia maravigliosa
Che
della Chiesa in ogni rito è ascosa!
Oh allorquando vi penso, io spero ognora
Che, pria di morte almen,
quell'alto ingegno
Avrà veduta la söave aurora
Del promesso agli
umani eterno regno!
Spero che quella forte anima ancora
Nodrito
avrà del ciel desìo sì degno,
Che quel Dio che sol vuole essere amato

Avrà i tardi sospiri anco accettato!
Con reverenza visitava io pure
Altre in Milano vetustissim'are:

Quella ov'a Sant'Ambrogio ama sue cure
Il buon Lombardo con
fiducia alzare,
Ed il sacel, dove Agostin le impure
Fiamme alfin
volle in sacra onda smorzare,
E colà volgev'io nella mesta alma

Sete di verità, sete di calma.
Ed in talun di quegli alberghi santi
Una donna io vedea ch'erami
stella;
E a lei movendo i guardi miei tremanti,
S'umilïava mia
ragion rubella:
Mi parea ch'a me un angiolo davanti
Stesse per me
pregando, e allora in quella
Amica del Signor ponendo io speme,

«Ah sì, diceva, in ciel vivremo insieme!»
Ma de' templi alla mistica dolcezza
Vinto non era appien l'orgoglio
mio:
Il passo indi io traea con leggerezza,
E i gravi intenti rimettea
in obblio:
Rossor prendeami appo colui che sprezza
Chi, pari al
volgo, osa implorare Iddio:
Io mi volgeva a Dio, ma come Piero,

Interrogato, ahi! rinnegava il vero!
E poi non come Piero io mi pentiva
Con dïuturno, generoso pianto;

Incostante nodrìa fede mal viva,
E a guisa d'infedele oprava intanto:

Allor fu che la folgor mi colpiva,
E ogni mortal mio giubilo andò
franto,
E in man mi vidi d'avversario forte,
Me condannante a duri
ceppi o morte.
Oh lunghi di catene e d'infiniti

Strazi del core inenarrabili anni!
Ed

oh! com'anco in giorni sì abborriti
Mia fantasia godea sciogliere i
vanni,
E fingersi ogni sera entro i graditi
Templi, ed ivi esalar gli
acerbi affanni!
Poche amate persone e i patrii altari
Erano allora i
miei pensier più cari!
Oh quai mi parver secoli
Que' primi anni di duolo,
In che fra mura
squallide
Vissi cruciato e solo!
Nè mai con altri supplici
Sorgea la prece mia,
Ed il desìo del
tempio
La pace a me rapìa!
Mi si pingeano i fervidi
Religïosi incanti,
Le grazie che sfavillano

D'in sugli altari santi:
E di Davidde i gemiti,
E gli avvivanti lumi,
E le armonie
dell'organo,
E i mistici profumi,
E l'ineffabil agape,
Ove il Signore istesso
Pasce e solleva ad inclite

Speranze l'uomo oppresso.
Allor la vil perfidia
Del mondo io ricordando,
Dare ai profani gioliti

Giurava eterno bando,
E con insonni pàlpebre,
E con preghiera accesa
Chiedea versar mie
lagrime
Ancora entro una chiesa.
Mi sovvenian le placide,
Ombre de' monasteri,
E le velate vergini,

Ed i romiti austeri:
E tormentosa invidia
Prendeami di que' petti
Ch'appo gli altari
effondere
Doglia potean e affetti.
Ma in quella mia nel carcere
Brama de' sacri ostelli,
Söavi sensi
teneri
Pur si mescean novelli.

Rendeva al Cielo io grazie
Che i genitori amati
Piangere almen
potessero
Anzi all'altar prostrati.
Anzi all'altar che ai miseri
Sol può istillar virtute,
Che rïalzar può
l'anime
Da angoscia più abbattute!

Un giorno alfine, oh fortunato giorno!
Nunzio ne venne che sariane
schiuso
Della comun preghiera ivi il soggiorno:
E tratto per brev'ora allor dal chiuso,
Rividi il tabernacolo, ove
alberga
Colui che in ciel di gloria è circonfuso.
Tempio quello non è ch'ardito s'erga
Sovra eccelse colonne, e in
maraviglia,
Quasi reggia celeste, i cuori immerga.
Poco più che a magione umìl somiglia,
E pur ivi m'invase quel
tremore
Che per solenne ossequio all'uom s'appiglia;
E per quell'ara palpitai d'amore,
Come mai palpitato io non avea,
E
in ver sentii ch'ivi sedea il Signore!
Brev'ora fu, ma pure
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