Poesie inedite vol. I | Page 9

Silvio Pellico
indi io sorgea
Trasmutato in altr'uom, portando
in seno
Il Salvator che i mesti accoglie e bea.
E tale in que' momenti era il baleno
Della luce divina in me raggiante,

Che il patir mi parèa di gioia pieno,
E leve il ferro mi parea alle piante.

Oh di Spielbergo semplice chiesuola,
Ove non s'alzan preci altre
giammai,
Che del mortal che cingesivi la stola,
E di viventi infra
catene e guai,
Ah, in te risplende pur Quei che consola!
Quei, che
del fiacco non respinge i lai!
Quei, che l'amaro calice accettando,


Com'uomo il rimovea raccapricciando!
Con qual desìo la settima festiva
Aurora io nel mio carcere attendea!

Per sei giorni in mestizia illanguidiva,
O la mente pensosa egra
fervea,
E talor preda sì di larve giva,
Che il lume di ragion perder
temea:
In quell'ore io talvolta Iddio cercava,
E, inorridisco in dirlo!
io nol trovava.
Ma il giorno del Signor rivedea alfine,
E mettea lieto suon la pia
campana,
E a söavi pensier l'alme fea chine,
E a ricordanze dell'età
lontana:
Potenze inespressibili, divine
Scemar parean l'orror della
mia tana,
E a me, come a fanciul, batteva il petto
Di quel festivo
bronzo al suon diletto.
Poi tutte disparian mie cure atroci
Quando il pietoso sgherro aprìa le
porte,
E de' compagni mi giungean le voci,
E la imperante
seguivam coorte;
Gli avvinti si porgean cenni veloci
Di costante
amistà nell'aspra sorte;
Ma non a tutti amici ivi era dato
Incontrarsi,
parlar, pregare allato.
Sempre, sempre novella, alta esultanza
Il commosso m'invase animo,
quando
In quell'incolta ma pur sacra stanza
Posi il piè, mie catene
strascinando,
E in simbolica vidi umil sembianza
Suoi sfolgoranti
rai Gesù ammantando
Benedirci, e per noi con inesausto
Amore
offrirsi al Padre in olocausto.
Colà il Signor mi favellava al core,
E la sua voce somigliava a quella

D'amorevole, ansante genitore
Che a sè un figliuolo sconsolato
appella,
E «Disgombra gli dite, ogni timore
»Che mai mia tenerezza
io da te svella!
»Veggio che disamar tu me non sai,
»E ciò che indi
tu vuoi, tutto otterrai!»
Ei mi diceva inoltre:--«Io t'ho punito
»Non già per rabbia onde
avvampar non soglio,
»Ma perchè il prego mio non era udito,

»E sì
correvi per le vie d'orgoglio,
»Che obblïato me avresti, e lui seguìto


»Che l'alme adesca all'eternal cordoglio:
»Con forte piglio il correr
tuo rattenni,
»Ma t'amai, t'amo, e per salvarti io venni!»
Io mi gettava allora a' piedi suoi
Con dolcezza ineffabile, e piangeva,

E sclamava: «Signor, fa ciò che vuoi
»Di questo figlio della debol
Eva!»
»Sordo vissi, pur troppo, a' cenni tuoi,
»Ma tua incorante
voce or mi solleva:
»Nulla sperar dovrei, ma poichè m'ami,
»Un
don ti chieggo ancor--ch'io ti rïami!»
E poi prendea fiducia, e proseguìa
A lui tutti schiudendo i miei desiri:

Lo supplicava per la madre mia
Che sparso avea per me tanti
sospiri!
Pel dolce padre calde preci offrìa!
Per tutti quegli amati
onde i martìri
M'eran del martìr mio più dolorosi,
E ch'io tanto di
me sapea bramosi!
Del Moravo castello umil tempio,
Quante grazie ti debbo soavi!
Il
mio spirto pöetico alzavi
Dai terreni, opprimenti dolor.
Io sentiva
entro te que' dolori,
Ma diversi, ma misti a contento:
Io chiedea
raddoppiato tormento,
Purchè Dio m'addoppiasse l'amor.
Io il disprezzo acquistava de' ferri,
Ma non più quel disprezzo superbo
Che del vinto fa l'animo acerbo

Contro quei che nel lutto il gettàr.
Io sperava, io credea che i vincenti

M'assegnasser destin sì tremendo,
Non vil odio, ma sol rivolgendo

Di giustizia rigor salutar.
Io dicea che se in pugno tenuto
Uno scettro in que' giorni avess'io,

Gli avversanti dell'animo mio
Con isdegno atterrati avrei pur:
E
scernea che son fremiti ingiusti
Que' dell'uom che da forti domato,

Non ripensa ch'ei forza ha sfidato,
Che d'un dritto essi i vindici fur.
Compiangea il fato mio, ma pensando
Qual dover mosse i giudici
miei:
Ma pensando che in ciel li vedrei
S'io perdon ritrovava al
fallir.
E di grazia per me sospiroso,

Supplicava ogni grazia per essi,


Presentendo i reciproci amplessi
Là dov'ira non puossi nodrir.
Della chiesuola de' prigioni uscito,
Io ritornava entro mia mesta cella

Col sen da mille affetti intenerito,
Con fantasia più generosa e bella:

L'ineffabil poter del santo rito
Avermi parea dato alma novella:

Ed intero quel dì lieto sciogliea
Di David gl'inni, ed inni altri tessea.
Oh facoltà di poëtar gioconda,
Ma più negli anni orribili del lutto,

Quando forza divina il core inonda
E d'eccelsi pensier lo infiamma
tutto!
Quando nell'uom tal grazia sovrabbonda
Che a benedir sue
croci indi è condutto!
Face di poesia! senza una chiesa,
No, non
saresti in me rimasta accesa!
E se tal possa amabil dell'ingegno
In me si fosse per dolore estinta,

Languito avrei d'ira e superbia pregno,
O l'alma a vil furor sariasi
spinta:
Della vita un frenetico disdegno
Spesso prendeami in tanti
mali avvinta,
Poi la luce de' sacri inni tornando,
Io riponea l'empio
disdegno in bando.
Il mortal che in mestizia s'inabissa,
E fero soffre ineluttabil danno,

Sempre in oggetti d'ira il guardo affissa;
Ogni umano gli par vile o
tiranno;
L'altrui virtù al suo torbo occhio s'ecclissa;
In tutti sogna i
benefizi inganno;
E fraterna pietà posta in obblio,
Disama e niega e
maledice Iddio.
Filosofar s'immagina il fremente
Calunnïando il mondo e il Créatore;

Ma chiudendo a' pensieri alti la mente
Tutto mira a traverso empio
livore,
Bugiarda estima ogni men atra lente;
Satana è il suo maestro
e il suo autore;
Armi date e coraggio a quell'ossesso,
Ed eccol
trucidare altri o sè stesso.
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