Poesie e novelle in versi | Page 7

Ferdinando Fontana
falange dei secoli stanotte
Si accrescerà d'un milite novello;
E di
tanti dolor, di tante lotte,
Di tante gioje, raccolte in un anno,
Forse
un'eco infedele per memoria
I dì venturi avranno!
Per legger dentro
ai secoli remoti
Noi meditiam la forma d'un avello;
E i nostri figli,

cui sarem mal noti,
Mediteran nei nostri cimiteri,
Dei nostri eventi
tessendo la storia
E dei nostri pensieri.
E strana legge!... I tumuli silenti
Serban per lunghe etadi la parola,

Mentre le mille voci delle genti
Duran lo spazio che dura un istante,

E vanno dei superstiti a morire
Nel frastuono incessante!
Ah!...
Chi potrà afferrar l'attimo arcano
Che al tempo stesso sussiste e si
invola?!
Chi mai potrà indicar con ferma mano
Il limite sottil che fu
segnato
A divider fra loro l'avvenire,
Il presente_ e il _passato?!
E noi viviamo; ed ogni dì che fugge
Segna una ruga sulla nostra
fronte;
E un'agonia lentissima ne strugge;
E, tremebondi, a noi
stessi chiediamo
Se esisterem, trascorso un anno, ancora;
E
mormoriam: "Speriamo!"
E interroghiamo gli eventi passati,
E gli
amori, e i dolori, e l'ire, e l'onte;
E dai mille fantasimi evocati

Attendiam le speranze ed i conforti,
Baciando i figli che vedon
l'aurora
E ripensando ai morti.
Oh!... Tomba sconfinata!... Oh! Eterno Nulla!
Tremendo Iddio che le
esistenze ingoi!
Oh! Infinito cammin!... Campagna brulla
Dai
nebbïosi orizzonti!... Ocëàno
Sovra i cui flutti non scerne la sponda

L'ansioso sguardo umano!...
Dimmi, rispondi, che son divenuti
I
giorni senza numero, e gli eroi,
E i popoli, che in sen ti son caduti?

Che mai facesti tu di tanta polve
Che, come l'onda s'accavalla all'onda,

Su sè stessa s'avvolve?
Che mai facesti tu di tante glorie,
Di tanti pianti e di tanti sorrisi?

Che giovano ai presenti le memorie
Se chi lasciolle eternamente è
spento?

Oh!... Triste scherno!... Un'êra di mill'anni
S'accoglie in un
accento!
Oh!... Triste scherno!... Il mozzicon di sego,
Nella cui
scialba fiamma ho gli occhi fisi
E presso a cui scrivo e bestemmio e
prego,
Val più dei raggi insiem moltiplicati
Che piovvero dal sol su
gaudi e affanni
Nei secoli passati!

Oh!... Triste scherno!... Il mio vecchio bastone
Vale gli scettri dei re
che son morti!
Il mio gramo cappel val le corone
Che il tempo
infranse! E il mio mantel sdruscito
Val le toghe di porpora e di bisso

Del popolo quirito!!!
Cesare, Carlomagno e Bonaparte
Ove
siete?... Ove siete?... I volti smorti
Spingete, o spettri, sovra queste
carte....
Datemi voi l'accento arcano, il verso,
Ond'io possa
descrivere l'abisso
Su cui sta l'Universo!
................................
Io mi prostro!... In un'orgia di visioni
S'accascia la brïaca fantasia....

Veggo mari di sangue, e templi, e troni
Accatastati, e altari, e
deliranti
Moltitudini, e donne, e bare, e fiori,
E spade luccicanti....

E tutta questa baräonda vola
Dinanzi agli occhi della mente mia;

S'apre ogni bocca e non dice parola;
Batte ogni piede ed un fruscìo
non s'ode;
E, in fondo a un bujo ciel, senza fragori,
Ogni folgore
esplode.
Talor frammezzo alla gente piccina
Giganteggia d'un Genio la figura;

Socchiusi gli occhi e colla fronte china
Passano i savî delle età
trascorse,
Color che innanzi all'ardüo problema
Hanno esclamato:
Forse!
Ed io, fiutando l'aura che circonda
Questa turba idëal che fa
paura,
Sento le nari tormentarmi un'onda
Di lezzi e di profumi; una
miscela
D'odor d'alcòve e di tombe; l'emblema
Che la carne rivela!
................................
Dal suolo, ov'io gemevo, rovesciato
Come un tronco cui svelse la
bufèra,
Io mi sollevo.--Il mio sogno è passato,
Al pari d'ogni gente
e d'ogni evento;
Sorgo e, senza nudrir stolide fedi,
Alla vita mi
avvento.
E a lei mi stringo, a questa grama vita

Irta di noje, vana e
passaggiera,
Ma che all'avida bocca inaridita
Può ancor porger la
mistica mammella!
A questa vita, il solo maravedi
Dell'umana
scarsella!

Dolce tesor di mie brevi giornate,
Io ti vo' spendere in luce e in amore,

In lagrime e in ebbrezze spensierate!
Ah!... Ch'io frema!... Ch'io
viva!... È nulla il resto!
Muoja chi non vuol vivere!... I piagnoni,

Non morti, io li detesto!...
Io sparirò pria che i capelli bianchi

M'abbian cinta la fronte, ed ho poche ore,
Ma vo' morir colla testa sui
fianchi
Ignudi d'una donna amata e bella,
Ripetendo le libere
canzoni
Di mia mente rubella!
Milano, dicembre 1876.
LA SENAVRA[1]
AI DOTTORI A. MAGNI E A. ARCARI.
Sognatori incorreggibili;
Fervidissimi credenti;
Cranî vasti e cranî
piccoli
Dai cervelli turbolenti;
Furibonde crëature
Piene d'ansie e
di paure;
Vociatori allucinati
Dagli spettri torturati;
Barcollanti paralitici
Avviati alla demenza;
Infelici, cui sovreccita

L'epilettica potenza;
Pellagrosi, a cui la Fame
Dissanguò le carni
grame
Per dipingere le rose
Delle mense sontüose;
Catalettici, insensibili
Come il cuor d'una beghina,
Dallo sguardo
spento e immobile,
Dalla testa sempre china,
Cui l'orrenda malattia,

Ch'è peggior dell'agonia,
Indurì la gamba e il braccio
Come il
ferro e come il ghiaccio;
Idïoti tardi e sucidi
Dalle stolide risate;
Silenziosi melanconici

Dalle fronti ottenebrate;
Vecchi e bimbi, uomini e donne,
A cui
celan vesti e gonne
(Dalla modula uniforme)
La goffaggin delle
forme;
O pöeti, cui, per esserlo,

Non mancò che l'equilibro;
O confuse e
sparse pagine
Che talor non fan più un libro;
O filosofi egoïsti

Che furiosi, o lieti, o tristi,
Suggeriste un entusiasmo
All'indagine

d'Erasmo;
Io vi veggo dell'Ospizio
Negli androni lunghi e scuri
Sfilar tutti e, a
larve simili,
Rasentar gli scialbi muri;
E me stesso e il mondo oblio

Nell'udir lo stropiccìo
Delle scarpe trascinate
Sulle pietre
levigate.
Quest'Ospizio, or non è un secolo,
Era un chiostro solitario;
Vi
dormian, tranquilli, i monaci
Fra una cena ed un rosario:
Quella
pace chi rimembra?
Tutto muta!... E il chiostro or sembra,
Per le
grida e il chiasso eterno,
Una bolgia dell'inferno!
Quanti sogni!... Quanti fascini!
Quanti inani desideri!
Quante vacüe
dovizie
Di ipotetici forzieri!
Quante
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