Nel sogno | Page 8

Neera
cullava in una specie di estasi,
come nell'abbandono di una bontà sconfinata, dove non sorgeva mai
neppure la più lieve ombra di dubbio o di paura. Sorella dei fiori, delle
erbe, degli insetti, degli uccelli, viveva della loro pace profonda nella
assoluta ignoranza del male.
Una lontana e confusa immagine della società le appariva a tratti nella
lettura del Vangelo e nelle spiegazioni che il solitario ne faceva; ma
tutto ciò si presentava alla fanciulla come una visione, come
l'evocazione di un mondo spento, non invidiabile, nè desiderabile; e,
nella sua anima straordinariamente portata alle oscurità del mondo

soprasensibile, i fatti, i nomi, tutta quella storia misteriosa dell'Antico e
del Nuovo Testamento si mescevano nel simbolismo di un sogno
prolungato ed infinitamente soave. Le sembrava, a volte, di aver
vissuto in quella terra fatale di Galilea, di aver udita la voce di Gesù, di
averne seguito i passi, di essere stata sotto la croce a beverne il sangue,
e per l'amore di Lui essere risorta a questa nuova vita di intera purezza,
di luce imperitura.
Una grande fantasia poetica era in lei, per cui respirava in un'atmosfera
di luce, e stava in rapporti ideali con una quantità di persone e di cose,
confondendole soavemente per una ripugnanza innata delle verità
materiali, onde spesso le stelle e gli Angeli, una rosa e la Madonna, il
sole e Dio si identificavano nel suo pensiero, formavano quella catena
di splendori e di gioie sante entro cui si moveva la sua anima.
Alcune parole, alcune frasi dei libri sacri la trasportavano in un delirio
di ammirazione; per esempio, tutti i simboli relativi a Maria Vergine,
che, dopo di essere stata paragonata all'aurora foriera del sole, venne
ancora ravvisata nell'Arca dell'alleanza, fabbricata di legno
incorruttibile, nel roveto di Mosè, che arde tutto e pure non si consuma,
nella verga di Aronne, che lungi dall'insterilire mette fiori, nel vello di
Gedeone, che solo rimane molle e coperto di rugiada mentre la terra
intorno è bruciata; nell'orto chiuso, d'onde emanano profumi di
paradiso, e nella rosa di Gerico, nel cedro del Libano, nel cipresso di
Sionne, nella palma di Cades, nel pallido ulivo dei campi, nel leggiadro
platano che costeggia i torrenti.
Su queste parole misteriose, su queste similitudini ignote, piene di una
occulta e sublime poesia, la dolce fanciulla spargeva lagrime di una
commozione così intensa che le si accresceva per esse l'infinita felicità
di vivere.
* * *
La piccola baita, dal giorno in cui il prete l'aveva scelta per sua dimora,
si era venuta man mano dirozzando per la presenza delle due fanciulle.
All'unica cameretta il solitario ne aveva aggiunta un'altra, lavorando a

quest'uopo un inverno intero; prima per abbattere gli abeti e poi per
tagliarli e piallarli rozzamente, tanto che potessero connessi insieme
formare le tre pareti che occorrevano al nuovo edificio.
Le gemelle lo avevano aiutato con ardore, e non avendo mai visto nè
fabbriche, nè operai, nè cosa alcuna al mondo, esultavano ad ogni
scoperta, ad ogni felice risultato, così divertite dalla nuova occupazione
che non videro fuggire l'inverno. Piene di zelo, portavano legni,
limavano chiodi, foravano, ammucchiavano, docili all'insegnamento
del loro buon padre; mentre Maria trovava modo di unire anche a
questa occupazione materiale le sue visioni grandiose e poetiche e
pensava che così avevano lavorato gli uomini primitivi per edificare il
tempio di Salomone, dove si cantavano le glorie di Dio.
All'olezzante cedro del Libano ella sostituiva, con eguale trasporto di
poesia e di gratitudine, il pino silvestre dal forte profumo resinoso.
--Come odora buono!--diceva.--Tanto buono e tanto forte!
E già amava quelle brune pareti, dove scorgeva, come in tutto il resto
del creato, una catena ininterrotta di benefizi; le toccava con amore, con
devozione. Non poteva neanche dire di essere felice: perchè la felicità
per lei era lo stato naturale di tutti gli esseri viventi; ma tale intima
sensazione la esprimeva nell'irradiamento di tutto il volto e in un
crescendo di vitalità, per cui le accadeva di serrarsi stretta la sorella fra
le braccia, quasi il suo cuore non fosse abbastanza grande per contenere
tanta gioia.
Alla famiglia di pastori che avevano allevate le due piccine un'altra
famiglia era subentrata, e nuovi rapporti di una o due volte l'anno
recavano ai solitari della baita gli oggetti di prima necessità: volontario
tributo che quella buona gente offriva al Santo. Ognuna di queste visite
era un tale avvenimento per le gemelle che solamente l'aspettarle e il
rammentarle bastava a riempire il loro isolamento. Non erano che rozzi
pastori, ma erano anche i soli esseri umani che giungessero fin lassù.
Quando la cameretta nuova fu compita, misurò quattro passi in largo e
cinque in lungo, e, per suggerimento dei pastori, venne confitta ad una

delle pareti, la meglio riparata, una specie di alcova, molto simile ai
lettucci delle cabine nei bastimenti e precisamente eguale
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