a me--coll'invito che avrà ricevuto il vostro giornale: così dopo domani sera avremo cose più allegre da raccontare a mia sorella e ai miei genitori.
--Da parecchi giorni--seguitò la signorina Mary--non si parla d'altro. Si dice che sarà una festa di cui non si è veduta mai l'uguale nella metropoli; che il ballo storico dato a New-York qualche anno fa da Augusto Belmont non reggerà al confronto con questo di Vanderbilt, il quale servirà a dimostrare l'enorme progresso della società nordamericana in fatto di buon gusto e di eleganza. Si citano le grosse somme prodigate in fiori e si assicura che i milleduecentocinquanta invitati vedranno splendori degni del conte di Montecristo e delle Mille e una notte.
La signorina Mary m'aveva messo addosso una grande curiosità e la sera appresso non mancai di recarmi alla gran festa con suo fratello.
Alle dieci e mezzo centinaia e centinaia di carrozze cominciavano ad arrivare davanti alla reggia di Vanderbilt e ne uscivano dame e cavalieri vestiti di ricchissimi costumi di tutte le epoche, dai colori smaglianti, carichi di gioielli, di collane, d'anelli preziosissimi. Man mano che giungevano, le coppie salivano il principesco scalone sovra il quale le statue e i busti di pietra di Caen guardavano in basso con quella stupida tranquillità che Mark Twain attribuiva alle mummie egiziane; imboccavano i vasti corridoi illuminati da migliaia di candele di cera ed entravano negli sfarzosi saloni.
Per la maggior parte degli invitati l'ingresso nel palazzo Vanderbilt tutto decorato internamente in istile gotico medioevale e rénaissance costituiva un vero avvenimento: a New-York sono ben rari gli interni artisticamente lavorati. Era la prima volta che uno sfoggio reale di ricchezza architettonica veniva gettato in faccia all'high-life della città.
Un artista avrebbe condannato la soverchia ornamentazione delle sale e notato che se tutte indistintamente le pareti non fossero state dipinte a quadri, l'insieme ci avrebbe guadagnato. Ma gli intervenuti non erano tipi da preoccuparsi di ciò: per essi anzi la confusione degli stili e l'eccesso degli ornamenti davano maggior pregio al palazzo; si accorgevano di questo solo, che la ricchezza era buttata là a piene mani e ne rimanevano sbalorditi.
E passando dall'esame delle sale a quello di loro stessi, gli invitati, anzichè ai costumi, badavano prima di tutto ai milioni di dollari che erano rappresentati al ballo,
--Vogliamo provare a fare il conto?--diceva uno in un gruppo.--Cominciamo dal padrone di casa. W. K. Vanderbilt, venticinque milioni di dollari; suo fratello più giovane, due; gli Astor, duecento; Russel Sage, sessantacinque; Josè Navarro, dieci; Cyrus Field, quindici; George Pulmann, venti; i Lorillard, quaranta; i Belmont, quindici; D. O. Mills, dieci; la signora Stevens, otto; gli Iselin, la famiglia Fish, Sidney Dillon e Henry Clews, dieci milioni di dollari per ciascheduno; i Goelet, venticinque...
--Senza contare--aggiunse uno--i patrimoni da cinque milioni di dollari, come quelli di Horace Porter, di Galloway, di J. B. Houston, di Livingstone, dei Schermerhorn, e trascurando tutti quei gentlemen che valgono quattro, tre, due, un milione di dollari.
--E pensare--osservò il mio amico--che quasi tutta questa gente lavora e commercia sempre, e che nei loro negozi di Broadway domani possiamo comperare due metri di tappeto o un'oncia di tabacco! Vedete là quella signora alta, magra, col naso rosso? è una milionaria anch'essa, che va in persona a esigere i fitti delle sue case e bestemmia peggio di un facchino del porto.
Quella aristocrazia nord-americana non era che una congrega di giuocatori di borsa, di speculatori, di mercanti arricchiti; ebbene, cosa curiosa, la maggioranza dei costumi indossati rappresentava la nobiltà storica europea: erano tutti re e regine, imperatori e imperatrici, principi, duchi, conti e marchesi; Enrichi VIII e conti di Guisa; Franceschi I e Marie Antoniette; cardinali Mazzarino e regine Elisabette; Marie di Borgogna e Marie Stuarde; Luigi XV e Kings Lear; Don Carlos e Luigi XII; Enrichi IV e Carli IX: pochissimi i vecchi Knickerbockers, cioè i veri nobili americani, le famiglie blasonate d'Europa emigrate sulla costa dell'Atlantico quando gli attuali Stati Uniti erano colonie inglesi.
In mezzo a quella strana ricerca della nobiltà del vecchio mondo una circostanza mi colpì: Arthur, allora presidente della repubblica, passò quasi inosservato nella festa; ottennero un maggior successo di curiosità certe rose fresche, che costavano dieci lire l'una.
W. H. Vanderbilt, padre del padrone di casa, arrivò tardi, ed evitando la folla salì inosservato al secondo piano del palazzo. Me lo additò il mio amico, facendomi notare come le spalle del vecchio milionario apparissero più curve del solito e come i di lui occhi sembrassero inquieti.
--Chissà--mi diceva il fratello di Mary--che egli non tema di vedere la figura arcigna di suo padre, il rozzo barcaiuolo di Staten-Island, guardare con sarcasmo queste pompe; o chissà che non pensi al fratello suicida, o non deplori l'acquisto forzato della _Nickel Plate Railroad_, che in un giorno solo creò sei milionari. Forse si augura semplicemente che la sua puledra prediletta, Maud S., la
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