Mia | Page 8

Memini
tornato a primavera, ma la bimba no;
andava in un convento lontano, e non sarebbe tornata che dopo varii
anni. La fattora lagrimava, la giardiniera anche lei, la guardarobiera
aveva gli occhi rossi... tutti dicevano: «Va via la nostra signorina,» con
un'aria triste, sinceramente triste....

Bisognava vedere quanta gente s'era riunita in corte, sotto il portico,
appiè dello scalone, la mattina della partenza, mentre in scuderia si
rivestivano dei finimenti i cavalli che stavan per essere attaccati al
landau. E la piccina, avvolta nel suo mantellone foderato di pelliccia,
col visino mezzo smarrito nella felpa bianca della cappottina da viaggio,
coll'aria confusa, cogli occhi rossi, riceveva con affettuosa gratitudine
quei saluti, quegli omaggi, e andava ripetendo: «Addio, arrivederci,
grazie,» colla voce proprio commossa. A un tratto le si fece davanti il
suo compagno di gioco, Drollino!
Anch'egli aveva la faccia malinconica. Sulle prime pareva che volesse
dir tante cose; ma poi si morse le labbra, e disse solamente: «Buon
viaggio.»
--Addio,--disse affettuosamente la Milla. E togliendo dal guantino una
manina, microscopica nel suo guanto di flanella bianca, gliela porse.
Egli non la baciò; la prese un momento fra le sue; poi non si ricordò
neppure che avrebbe potuto stringerla, e la lasciò andare.
I due bambini si guardarono un momento in silenzio, con una certa
voglia di piangere; soli, avrebbero pianto... forse...
--Ricordati!--disse subitamente Milla.
Egli si fece rosso, e scosse energicamente il capo. No, non le avrebbe
dette più quelle brutte parole.
Si compresero, e sorrisero.
--Salutami Mia...--continuò gravemente la bimba.
--Vieni Milla,--chiamò il Principe.--È attaccato.
Drollino si mise a correre disperatamente lungo il viale. Giunse al
cancello, trafelato, ma in tempo per vedere a passar la carrozza... per
gettare nell'interno di questa uno sguardo profondo. Dietro il cristallo
alzato, si vide per un secondo una manina bianca che salutava. L'agente,
che era anch'esso venuto sin lì, prese per sè quel saluto, e scappellò

profondamente. Era molto lusingato, e Drollino, accanto a lui, teneva
dietro collo sguardo alla carrozza, che si faceva già piccina piccina
sulla neve della strada.
Stavolta gli onori e i rimpianti della partenza erano stati tutti quanti per
Milla, che non sarebbe tornata più per tanti anni. Il Principe aveva detto
gaiamente: «Arrivederci questa primavera,» e nessuno s'era creduto in
obbligo di commuoversi per lui. Pure l'assenza sua doveva essere ben
più lunga di quella di Milla, doveva prolungarsi sinchè i mesi
diventassero anni, gli anni secoli, e i secoli eternità. I suoi agenti, i suoi
cocchieri, i suoi cavallanti l'avevano veduto per l'ultima volta. Morì a
Parigi, sul finire dell'inverno, d'un malore acutissimo, mentre la Milla,
nel suo grandioso e signorile convento, cominciava ad abituarsi a
quella vita di reclusa, a farsi adorare dalle sue compagne, e a
innamorarsi perdutamente della superiora, di sette suore, di due
converse e di quattordici compagne, e parlava di farsi monaca per star
sempre con loro.
E così avvenne che, per otto anni seguiti, la grandiosa villa rimase
chiusa. Invano, nel giardino ridente, i fiori olezzarono instancabili;
invano nella serra maturarono gli ananassi; invano l'allevamento equino
diede lietissimi risultati. Nessuno venne ad abitare quelle camere,
sempre chiuse, coll'atmosfera greve d'un odore di muffa e di tarlo. Gli
agenti soltanto andavano e venivano per conto dell'attuale proprietaria
di tutte quelle immense ricchezze; e questa era un'educanda umile ed
affettuosa, che non sapeva nulla del mondo e della vita, e aveva un
cuore grande grande, grande, e una statura piccina, piccina, piccina....

II.
--Ouff!--disse il Duca Giuliano, uscendo dal boudoir di velluto color
pesca a garofani di raso granata--ouff!... La signora di Rèmusat, nelle
sue agro-dolci Memorie del primo Impero, ci narra come Napoleone si
divertisse un giorno a mistificare crudelmente alcuni dei suoi più intimi
cortigiani, chiedendo loro cosa direbbe il mondo s'egli, l'Imperatore,
avesse a scomparire d'un tratto. E nell'imbarazzo generale che susseguì

a quella domanda, la risposta suonò repentina, dalla bocca stessa che
aveva posata la questione:--Sapete cosa direbbe il mondo?... direbbe:
ouff!...
Ora, date le debite proporzioni fra l'impero di un Bonaparte e quello di
una brillante Baronessa, può essere che l'ouff di Giuliano
rappresentasse del pari un sospirone di sollievo. Può essere che egli
avesse preventivamente desiderato di lanciarlo così ai quattro venti;
può essere che, entrando schiavo in quel tepido gabinetto, egli avesse in
animo d'uscirne libero; può essere che la perifrasi gentile, destinata a
velare l'odiosità d'un «basta,» fosse stata detta da lui e non da lei... A
malgrado però di tutte queste supposizioni, è cosa positiva che il duca
Giuliano si fermò un momento nell'andito-serra, e rimase immobile
accanto a un grande arum. Si fermò coll'orecchio teso, coll'occhio
attento, come aspettando. Un minuto completo, non la parte di un
minuto. Ma non udì nulla. Non voce angosciosa che chiamasse, non
rumore sommesso di singhiozzi, non strepito di seggiole smosse, non
tonfo di caduta... Nemmeno
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