Lucifero | Page 5

Mario Rapisardi
diversa Ogni via tenta, ogni regione esplora Mobilissimo sempre, e tutto aborre De la tarda materia il peso e il freno; E quando avvien, che di misteri e d'ombre L'altra s'avvolge, e, per geloso istinto, La ragion de le cose occulta e serba, Ei libero discorre, e si ribella Ad imposte paure; apre e dischiava Terre, cieli ed abissi; argini atterra, Crea, muta, strugge, e a le domate forme Nuovi dà impulsi, e nuove leggi imprime. Tal, benchè l'un viva ne l'altra, e vita Abbian comune e necessaria, avversi Son per intimo ingegno; onde tu vedi, Che or l'un l'altra soverchia, or questo a quella Soccomber mostra; eppur son ambo invitti, Sono eterni ambidue, però che morte Da tal guerra non sgorga, anzi han le cose Da cotanto agitare ordine e vita. Sparsi per gli antri, e fieramente soli Vivean gli uomini primi, e nulla amica Possa lor sorridea, tranne il Pensiero. Ispide pelli eran lor vesti, e rudi Selci lor armi e sol conquisto il foco. Da l'alte culle del fecondo Irano, Procedendo, spandeansi a mala pena Sui giapetici piani, e gl'inclementi Ghiacci vincendo, che inghiottían le belve, A nuove lotte s'accingean. Muggía Dai britannici fiumi alto l'immane Caval de l'acque, a cui, pari a vorago, S'apre orrenda la bocca, e al cui sospiro L'onda gorgoglia e al ciel salta in ruscelli; Devastando correan l'irte spelèe, D'umane carni esploratrici, e fuori Dai frondosi dirupi a l'onde in riva Calavasi il deforme orso e il velloso Primigenio mammuto: oscura e pigra Mole di membra, a cui nemico è il sole; E tu, sovrano troglodita, astretto Dal fecondo bisogno, a miglior prova Sempre volgendo il multiforme ingegno, Armi e industrie trovasti; onde più lieve Ti fu il domar co'l lavorato renne Le nemiche falangi. Apron le nubi L'inesauste sorgenti, e senza freno Fiumi ed oceani giù dal ciel dirompono; Entro al diluv?al baratro immenso Spariscono le specie, in quel che, armato Di novella virtù, l'uom passa i mari Su la prima piròga, e, di recisi Boschi infrangendo il pian glauco dei laghi, Fermo vi elegge e men selvaggio asilo. Ivi, fanciulla ancor, l'Arte s'assise Pargoleggiando; e, a far men lungo il giorno D'un che l'alma struggea dentro a l'amore, Tal gli spirò nel cor dolce un sorriso, Ch'ei fatto a un punto più gentil, leggiadre Forme e il pensier nel duro selce espresse. Però, quand'ei con lungo studio al rito Del caro amor la sua fanciulla indusse, Docil vide obbedire ai suoi talenti Il tenace basalto; a l'agil fianco Brunite armi precinse, e il flessüoso Collo di lei, che gli gemea su'l petto, Incoronò d'inteste ambre e di baci. Or deggio dir, che, di regnar mal paga Sovra i campi natii, la cur?osa Mente de l'uom s'insinüò nei cupi Visceri de la terra, e ai fiammeggianti Gnomi, che custodían l'ampie miniere, Rapì il bronzo, indi il ferro, a cui funeste Armi non sol, ma civiltà l'uom debbe? Io benedico a voi, fiumi e torrenti, Che giù dai fianchi dei materni Uràli L'auree sabbie lucenti al pian recaste; Ma più a la paziente opra, che il lieve Stagno confuse e il risonante rame, Non che a l'assiduo ardir, per cui, dal duro Abbracciamento mineral divelti, S'arresero i metalli a l'uom tenace. O pensiero immortal de l'uom che muore, Te da prima io conobbi, e quinci unito S'intrecciò a' fati umani il mio destino. Bruco, che il corpo infermo, a mala pena, Per intima virtù svolge dal primo Involucro, e, a la dolce aere credendo, Crisalide novella, il picciol volo, Co' fior de' campi il suo color confonde, Tal de l'uomo è il pensier: s'apre a fatica Fra tutti ingombri e lunghi affanni il varco, E cammina, cammina, e a nullo iddio Dee la vita, il principio, il mezzo e il fine. Ultimo forse e più perfetto anello De la catena universale, ei tutto Chiude in sè stesso il suo destin, chè umana Mutabil cosa e de la terra è il vero. Ahi! che un morbo fatal l'alma gl'invase Fin da' giorni suoi primi, ed ombre e morte Gli gittò sovra il capo, in cor, d'intorno! Tremò a l'aspetto de l'eterno, immenso, Fluttuar de' creati esseri il mesto Figlio de l'uom, che riprodotta e viva Non pur vedea nei circostanti oggetti Tanta lite incompresa e tanto affanno, Ma dentro al cor, dentro a le vene, in tutta L'esistenza sua poca iva ammirando Un perpetuo agitar d'odio e d'amore. Di fantastici mostri e di chimere Popolò quinci il mar, l'aria, la terra, Ogni spazio, ogni vuoto; e dove un'ombra Vide e un mistero, o una maggior possanza, Là piegò la cervice e pose un Dio. Dio nacque allor, Dio, creatura a un tempo E tiranno de l'uom, da cui soltanto Ebbe nomi ed aspetti e regno e altari. Chè or sopra ai soverchianti astri
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