A cercar non andrà larve e paure!-- Disse, e partía; ma lo rattenne un detto Del paz?ente Prometèo: --S'hai grande E pari, ei disse, agli alti accenti il core, Deh! non partir così, quando m'hai dèsto Tale un desío, che a lo sperar somiglia. Molto io soffersi e soffro, e assai maggiore Del mio soffrir fu la speranza, il tempo, Che co' fulmini suoi Giove sedea Sovra il trono d'Olimpo, e sul mio capo Rovesciava ogni mal. Crescea cogli anni E col disprezzo mio la sua paura E la sua crudeltà, però che immite Più chi regna divien quanto più trema, E dei fiacchi è virtù l'esser crudele. Solo di tutti io l'avvenir vedea Securamente, e de la sua caduta Presapeva il destin. Godi dei tuoi Vani, ?erei rimbombi, io gli dicea, O spensierato usurpator del cielo; Tal da l'Inachia stirpe uno stupendo Mostro verrà, che spezzerà il tuo scettro Come fil non ritorto, e me da questi Ceppi redimerà; nè ti varranno, Credi, i fulmini allor, chè assai più salda Sarà del fulmin tuo la sua possanza. Forse Giove non cadde? Ahi! ma il secondo Dei vaticinii miei sperdeano i venti! Qui fra' ceppi io rimasi: ad un tiranno Tiranno altro successe, e meco avvinto Restò in preda agli affanni ogni uom mortale. Or che parli tu mai? Cadde a buon dritto E dopo assai di mali esperimento L'alta speranza mia; nè agevol cosa è il ridestarla, ed utile per certo Non mi saría, quando più tetro e fiero Sembra il dolor cui la speranza illuse. Pur, se grave non t'è l'esser pietoso A chi tanto per l'uom male sostenne, Al mio partito interrogar rispondi: Uom mortale sei tu? Qual t'assecura O responso, o destino, onde presumi Condurre a fin tant'onorata impresa? Non t'illude il voler, che dei più saggi Tal tiranno si fa, che par destino? Fidi in altri, o in te stesso? E se in te fidi, Tal possa hai tu, che al grande ardir s'adegue? E se fondi in altrui le tue speranze, Tanta han virtude ed armonia le genti, Che, fatto un brando sol d'un sol consiglio, Al tr?onfo del ver movan secure? Qual che tu sii, svelati a me: qui sconto L'immortal vita inutilmente, e assai Tempo a soffrire e ad ascoltar m'avanza.-- --Ben m'è lieve appagar, l'Eroe rispose, La discreta domanda. Uom saggio, in vero, Io non terrò chi lusingato e spinto Da una rosea speranza ad ardua impresa, Pria non libra sè stesso, e con sottile, Freddo giudicio non prevede, e scerne I possibili eventi; anzi dà mano Subita a l'opra, e ciecamente ai casi Gitta sè stesso e de l'impresa il fine. Or, perchè a tal tu non mi assembri, io tutte Ti dirò le mie cose e l'esser mio, Quando a colui che tanti uomini e tempi Vide, e al fato durò con alma invitta, Grato è ridir ciò che di gloria è degno.-- Disse, e in cima a la rupe erma e selvaggia Pensieroso si assise. Alto a l'intorno Spaz?ava il silenzio, e in larghi giri Un'aquila le azzurre aure fendea.
CANTO SECONDO.
ARGOMENTO.
Incomincia la narrazione.--La Natura e il Pensiero.--Stato primitivo degli uomini; primi e difficili avanzamenti, a cui si oppongono i Numi, creati dall'anima inferma degli uomini.--La gran Lite.--La guerra dei Titani: il pensiero e non la forza trionfa dei Numi.--Lucifero non si contenta del cielo; Dio lo fulmina; l'inferno lo accoglie.--Un istinto di amore lo chiama sulla terra.--L'albero della scienza.--La tentazione.--Percosso nuovamente da Dio, ripiomba nell'inferno.--Non mai contento de l'esser suo ritorna sulla terra.--Cristo predica l'amore.--Gli uomini desiderosi del cielo dimenticano la terra.--Lucifero ve li richiama, ed è malamente calunniato.
Non da l'Inachia stirpe, o d'alcun mai Ceppo mortal, così l'Eroe riprese, Ma da natura, immortal germe, io nacqui Una a le cose, e da la luce ho il nome. Dir giusti sensi, o tacer dee chi dritto Co'l pensier mira; e, chiaramente espresso, Torna più grato, e pregio doppio ha il vero. Però di stud?ose ombre e d'enimmi Non cingerò il mio dir, chè nè maestro Di misteri son io, nè a disdegnosa Anima, che a sdegnosa alma favelli, Dubbio o coverto il ragionar si addice. Nuovi non già, ma da la turba illusa Negletti veri io parlerò. Due sono Le virtù, che le cose hanno in governo: La Natura e il Pensier; l'una, ch'eterna Genitrice visibile è di tutto, La pesante materia ordina e muta Per suo proprio valor; l'altro la informa Di spirital possanza, e la solleva Ad ardui voli e a magisteri egregi. Ferrea, immota in sue leggi, una procede Lenta così, che par che giaccia: inalza Su le rovine, onde si allieta, il trono, E da l'arida morte una perenne Fonte di vita e di beltà deriva; Ma l'occulto Pensier, ch'agita e accende Tutte cose universe, in varia guisa, Con poter vario e con legge
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