perenne Fonte di vita e di beltà deriva; Ma l'occulto Pensier,
ch'agita e accende Tutte cose universe, in varia guisa, Con poter vario e
con legge diversa Ogni via tenta, ogni regione esplora Mobilissimo
sempre, e tutto aborre De la tarda materia il peso e il freno; E quando
avvien, che di misteri e d'ombre L'altra s'avvolge, e, per geloso istinto,
La ragion de le cose occulta e serba, Ei libero discorre, e si ribella Ad
imposte paure; apre e dischiava Terre, cieli ed abissi; argini atterra,
Crea, muta, strugge, e a le domate forme Nuovi dà impulsi, e nuove
leggi imprime. Tal, benchè l'un viva ne l'altra, e vita Abbian comune e
necessaria, avversi Son per intimo ingegno; onde tu vedi, Che or l'un
l'altra soverchia, or questo a quella Soccomber mostra; eppur son ambo
invitti, Sono eterni ambidue, però che morte Da tal guerra non sgorga,
anzi han le cose Da cotanto agitare ordine e vita. Sparsi per gli antri, e
fieramente soli Vivean gli uomini primi, e nulla amica Possa lor
sorridea, tranne il Pensiero. Ispide pelli eran lor vesti, e rudi Selci lor
armi e sol conquisto il foco. Da l'alte culle del fecondo Irano,
Procedendo, spandeansi a mala pena Sui giapetici piani, e gl'inclementi
Ghiacci vincendo, che inghiottían le belve, A nuove lotte s'accingean.
Muggía Dai britannici fiumi alto l'immane Caval de l'acque, a cui, pari
a vorago, S'apre orrenda la bocca, e al cui sospiro L'onda gorgoglia e al
ciel salta in ruscelli; Devastando correan l'irte spelèe, D'umane carni
esploratrici, e fuori Dai frondosi dirupi a l'onde in riva Calavasi il
deforme orso e il velloso Primigenio mammuto: oscura e pigra Mole di
membra, a cui nemico è il sole; E tu, sovrano troglodita, astretto Dal
fecondo bisogno, a miglior prova Sempre volgendo il multiforme
ingegno, Armi e industrie trovasti; onde più lieve Ti fu il domar co'l
lavorato renne Le nemiche falangi. Apron le nubi L'inesauste sorgenti,
e senza freno Fiumi ed oceani giù dal ciel dirompono; Entro al diluvïal
baratro immenso Spariscono le specie, in quel che, armato Di novella
virtù, l'uom passa i mari Su la prima piròga, e, di recisi Boschi
infrangendo il pian glauco dei laghi, Fermo vi elegge e men selvaggio
asilo. Ivi, fanciulla ancor, l'Arte s'assise Pargoleggiando; e, a far men
lungo il giorno D'un che l'alma struggea dentro a l'amore, Tal gli spirò
nel cor dolce un sorriso, Ch'ei fatto a un punto più gentil, leggiadre
Forme e il pensier nel duro selce espresse. Però, quand'ei con lungo
studio al rito Del caro amor la sua fanciulla indusse, Docil vide
obbedire ai suoi talenti Il tenace basalto; a l'agil fianco Brunite armi
precinse, e il flessüoso Collo di lei, che gli gemea su'l petto, Incoronò
d'inteste ambre e di baci. Or deggio dir, che, di regnar mal paga Sovra i
campi natii, la curïosa Mente de l'uom s'insinüò nei cupi Visceri de la
terra, e ai fiammeggianti Gnomi, che custodían l'ampie miniere, Rapì il
bronzo, indi il ferro, a cui funeste Armi non sol, ma civiltà l'uom debbe?
Io benedico a voi, fiumi e torrenti, Che giù dai fianchi dei materni Uràli
L'auree sabbie lucenti al pian recaste; Ma più a la paziente opra, che il
lieve Stagno confuse e il risonante rame, Non che a l'assiduo ardir, per
cui, dal duro Abbracciamento mineral divelti, S'arresero i metalli a
l'uom tenace. O pensiero immortal de l'uom che muore, Te da prima io
conobbi, e quinci unito S'intrecciò a' fati umani il mio destino. Bruco,
che il corpo infermo, a mala pena, Per intima virtù svolge dal primo
Involucro, e, a la dolce aere credendo, Crisalide novella, il picciol volo,
Co' fior de' campi il suo color confonde, Tal de l'uomo è il pensier:
s'apre a fatica Fra tutti ingombri e lunghi affanni il varco, E cammina,
cammina, e a nullo iddio Dee la vita, il principio, il mezzo e il fine.
Ultimo forse e più perfetto anello De la catena universale, ei tutto
Chiude in sè stesso il suo destin, chè umana Mutabil cosa e de la terra è
il vero. Ahi! che un morbo fatal l'alma gl'invase Fin da' giorni suoi
primi, ed ombre e morte Gli gittò sovra il capo, in cor, d'intorno! Tremò
a l'aspetto de l'eterno, immenso, Fluttuar de' creati esseri il mesto Figlio
de l'uom, che riprodotta e viva Non pur vedea nei circostanti oggetti
Tanta lite incompresa e tanto affanno, Ma dentro al cor, dentro a le
vene, in tutta L'esistenza sua poca iva ammirando Un perpetuo agitar
d'odio e d'amore. Di fantastici mostri e di chimere Popolò quinci il mar,
l'aria, la terra, Ogni spazio, ogni vuoto; e dove un'ombra Vide e un
mistero, o una maggior possanza, Là piegò la cervice e pose un Dio.
Dio nacque allor, Dio, creatura
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