Lucifero | Page 4

Mario Rapisardi
ciò che può
senta e conosca, Questo ignaro di sè dio de la terra Pago fia di sè stesso,
ed oltre il vero A cercar non andrà larve e paure!-- Disse, e partía; ma
lo rattenne un detto Del pazïente Prometèo: --S'hai grande E pari, ei
disse, agli alti accenti il core, Deh! non partir così, quando m'hai dèsto
Tale un desío, che a lo sperar somiglia. Molto io soffersi e soffro, e
assai maggiore Del mio soffrir fu la speranza, il tempo, Che co' fulmini
suoi Giove sedea Sovra il trono d'Olimpo, e sul mio capo Rovesciava
ogni mal. Crescea cogli anni E col disprezzo mio la sua paura E la sua
crudeltà, però che immite Più chi regna divien quanto più trema, E dei
fiacchi è virtù l'esser crudele. Solo di tutti io l'avvenir vedea
Securamente, e de la sua caduta Presapeva il destin. Godi dei tuoi Vani,
äerei rimbombi, io gli dicea, O spensierato usurpator del cielo; Tal da
l'Inachia stirpe uno stupendo Mostro verrà, che spezzerà il tuo scettro
Come fil non ritorto, e me da questi Ceppi redimerà; nè ti varranno,
Credi, i fulmini allor, chè assai più salda Sarà del fulmin tuo la sua
possanza. Forse Giove non cadde? Ahi! ma il secondo Dei vaticinii
miei sperdeano i venti! Qui fra' ceppi io rimasi: ad un tiranno Tiranno
altro successe, e meco avvinto Restò in preda agli affanni ogni uom
mortale. Or che parli tu mai? Cadde a buon dritto E dopo assai di mali

esperimento L'alta speranza mia; nè agevol cosa È il ridestarla, ed utile
per certo Non mi saría, quando più tetro e fiero Sembra il dolor cui la
speranza illuse. Pur, se grave non t'è l'esser pietoso A chi tanto per
l'uom male sostenne, Al mio partito interrogar rispondi: Uom mortale
sei tu? Qual t'assecura O responso, o destino, onde presumi Condurre a
fin tant'onorata impresa? Non t'illude il voler, che dei più saggi Tal
tiranno si fa, che par destino? Fidi in altri, o in te stesso? E se in te fidi,
Tal possa hai tu, che al grande ardir s'adegue? E se fondi in altrui le tue
speranze, Tanta han virtude ed armonia le genti, Che, fatto un brando
sol d'un sol consiglio, Al trïonfo del ver movan secure? Qual che tu sii,
svelati a me: qui sconto L'immortal vita inutilmente, e assai Tempo a
soffrire e ad ascoltar m'avanza.-- --Ben m'è lieve appagar, l'Eroe
rispose, La discreta domanda. Uom saggio, in vero, Io non terrò chi
lusingato e spinto Da una rosea speranza ad ardua impresa, Pria non
libra sè stesso, e con sottile, Freddo giudicio non prevede, e scerne I
possibili eventi; anzi dà mano Subita a l'opra, e ciecamente ai casi Gitta
sè stesso e de l'impresa il fine. Or, perchè a tal tu non mi assembri, io
tutte Ti dirò le mie cose e l'esser mio, Quando a colui che tanti uomini e
tempi Vide, e al fato durò con alma invitta, Grato è ridir ciò che di
gloria è degno.-- Disse, e in cima a la rupe erma e selvaggia Pensieroso
si assise. Alto a l'intorno Spazïava il silenzio, e in larghi giri Un'aquila
le azzurre aure fendea.

CANTO SECONDO.
ARGOMENTO.
Incomincia la narrazione.--La Natura e il Pensiero.--Stato primitivo
degli uomini; primi e difficili avanzamenti, a cui si oppongono i Numi,
creati dall'anima inferma degli uomini.--La gran Lite.--La guerra dei
Titani: il pensiero e non la forza trionfa dei Numi.--Lucifero non si
contenta del cielo; Dio lo fulmina; l'inferno lo accoglie.--Un istinto di
amore lo chiama sulla terra.--L'albero della scienza.--La
tentazione.--Percosso nuovamente da Dio, ripiomba nell'inferno.--Non
mai contento de l'esser suo ritorna sulla terra.--Cristo predica
l'amore.--Gli uomini desiderosi del cielo dimenticano la

terra.--Lucifero ve li richiama, ed è malamente calunniato.
Non da l'Inachia stirpe, o d'alcun mai Ceppo mortal, così l'Eroe riprese,
Ma da natura, immortal germe, io nacqui Una a le cose, e da la luce ho
il nome. Dir giusti sensi, o tacer dee chi dritto Co'l pensier mira; e,
chiaramente espresso, Torna più grato, e pregio doppio ha il vero. Però
di studïose ombre e d'enimmi Non cingerò il mio dir, chè nè maestro Di
misteri son io, nè a disdegnosa Anima, che a sdegnosa alma favelli,
Dubbio o coverto il ragionar si addice. Nuovi non già, ma da la turba
illusa Negletti veri io parlerò. Due sono Le virtù, che le cose hanno in
governo: La Natura e il Pensier; l'una, ch'eterna Genitrice visibile è di
tutto, La pesante materia ordina e muta Per suo proprio valor; l'altro la
informa Di spirital possanza, e la solleva Ad ardui voli e a magisteri
egregi. Ferrea, immota in sue leggi, una procede Lenta così, che par che
giaccia: inalza Su le rovine, onde si allieta, il trono, E da l'arida morte
una
Continue reading on your phone by scaning this QR Code

 / 82
Tip: The current page has been bookmarked automatically. If you wish to continue reading later, just open the Dertz Homepage, and click on the 'continue reading' link at the bottom of the page.