Linfedele | Page 8

Matilde Serao
questa pietà, e
come sapeva sospingerla e allargarla, come sapeva usarne, perchè
questo uomo fosse completamente suo, preso dal pallido viso senza
bellezza, dalla piccola persona senza nobiltà di linee, preso da quel tipo
così capriccioso e fugace, preso da quella volubilità puerile, preso da
quell'insieme di graziose miserie femminili, per la pietà! Come ella
sfruttava, a suo favore, questa immensa pietà, facendosi contentare in
tutti i suoi capricci, dettando lei tutte le condizioni di quell'amore,
imponendo la sua volontà di donna debole, piegando quella volontà di
uomo forte, imperiosa nella sua grazia morbosa, inquietante nei suoi
turbamenti improvvisi, suggestiva di tutte la stranezze e pallida
persuaditrice di ogni bizzarria!
Nè solo la sicura e schietta forza di quest'uomo doveva esser vinta dalla
debolezza di quella donna, rinnovando anche una volta, come per
migliaia di anni, le antiche favole delle seduzioni ebree e greche, ma la
fantasia e i sensi di Paolo Herz dovevano subire le lusinghe più
inaspettate, dovevano esser tormentati e carezzati da un'insaziabile
curiosità. Colui che aveva assunto per la sua età, per la sua conoscenza
della vita, per la sua esperienza dell'amore, la posizione di maestro, di

guida, di consigliere, in questo che egli chiamava, senza saper di dire
così bene, l'ultimo amore della sua vita, si trovò innanzi a una scolara
stupefaciente. Vi era in Luisa Cima un così singolar miscuglio di
corruzione spirituale e di giovanile poesia, di candore e di menzogna, di
gelido calcolo e di squisita grazia, che Paolo Herz passava di sorpresa
in sorpresa, che tornava a casa, dopo i convegni di amore, disgustato,
incantato, irritato, estasiato, sempre in preda a una esaltazione. Ella si
mostrava a lui in tutte le sue faccie, in tutti gli aspetti di un
temperamento egoistico e imperioso ella era impertinente e affettuosa,
mai soddisfatta, gelosissima, civettissima, narrando tutte le sue
conquiste, violando tutte le delicatezze dell'amore, senza scrupoli,
senza carità, disumana, o pure talmente ammaliatrice, che lasciava il
suo amante confuso nell'ebbrezza, ebbrezza orribile, ma che importa?
Ebbrezza!
Quando egli si accorse che, a trentasei anni, essendo uscito salvo,
incolume da due o tre violente passioni, avendo penetrato l'anima
femminile in tutte le condizioni e in tutti i paesi con lo sguardo freddo
dell'osservatore, avendo saputo molte, troppe, delle verità dell'esistenza,
avendo la piena coscienza del proprio valore e del proprio diritto,
quando si accorse, dico, che egli apparteneva, spirito e sensi, a quella
piccola donna, dalla testina bruna su cui parea si levasse il ciuffetto
lucido di penne di un uccellino, e che egli era un suo prigioniero per la
vita e per la morte, era tardi, era troppo tardi. Sentì il peso del ferro, ai
polsi, ma non più il vigore per iscuoterlo. Atroce scoperta e atroce
giornata! Ella era stata, in quel giorno, assolutamente perfida,
assolutamente cattiva, con lui: e invano egli aveva voluto, sorridendo,
diradare questa mala volontà perversa che animava Luisa Cima. Il
piccolo idolo giapponese, ridendo di un crudel riso, mostrava i suoi
dentini minuti e le pallide gengive, crollava la testina, scuoteva le
spalle e diventava anche più malvagia. Paolo Herz ebbe un moto d'ira,
il primo. Partì da quella casa, pensando che ella non lo avrebbe
richiamato. No. Canticchiava ella, come un fanciulletto. Suppose che,
giunto a casa sua, un biglietto lo avrebbe richiamato. No. Si torturò
tutto il pomeriggio, non uscendo, attendendo questo appello. No. Anzi
qualcuno gli disse che Luisa Cima era andata alla passeggiata, e che dei
giovanotti l'accompagnavano e che ella rideva.

--Rideva?
--Sì, rideva--ripetette l'amico.
Alla sera, come l'ora avanzava, solo, desolato, disperato, Paolo Herz
andò alla casa di Luisa Cima affrontando tutti i rischi di questa visita in
un'ora insolita. Per fortuna, ella era sola, leggeva, bevendo una tazza di
the. Il suo viso era sereno, nè avevano traccie di lacrime i suoi occhi:
già egli non l'aveva mai vista piangere. Ella rosicchiava dei biscotti
inglesi. Muto, imbarazzato, con un dolor vivo nel volto, Paolo Herz la
guardava: ed ella non comprese, non volle comprendere: egli dovette
dirle tutta la sua spasimante giornata, di cui Luisa si meravigliava
molto, con un'aria di disinvolta innocenza: e infine, quando egli
scoppiò in rimproveri e delle lacrime di collera gli sgorgarono dagli
occhi, ella trovò modo di dargli tutti i torti e lo obbligò a chiederle
perdono. Obbligò? Fu lui che, contrito, compunto, persuaso di aver
maltrattato un angelo bianco e piccino, convinto di essere il più
ingiusto e il più villano fra gli uomini, s'inginocchiò innanzi a Luisa per
impetrare la sua grazia. Con quale stento gli fu accordata, come cadde
dall'alto, come parve proprio una degnazione sovrana! Ma la ottenne.
Era tardi, quando uscì da quella casa, folle di gioia. Il cielo stellato
brillava sul suo capo; i sentori della primavera olezzavano intorno a lui;
la terra pareva elastica, sotto il suo passo: e
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