desiderio d'ideale, combattuto dalla sua viltà: ha creduto che ella
tenesse a redimersi. Costui ha avuto delle delusioni gravi. Chérie non è
nulla di tutto questo: non pensa a nessuna di queste cose: quando gliele
dicono, non le capisce: quando gliele ripetono, si sforza per
comprendere, ma finisce per seccarsi ed esce in un discorso qualunque.
Non bisogna dunque lasciarsi ingannare dalle inflessioni malinconiche
della sua voce, quando tramonta il sole: dalle lacrime che velano i suoi
grandi occhi, quando vede uno spettacolo pietoso: da certe furtive
strette di mano, quando ode un bel discorso eloquente: da certi segni di
croce che ella fa, quando lampeggia e tuona. Bisogna pensare sovra
ogni altra cosa che ella è una donna fatta per l'amore, che ella è buonina,
ma che è anche un poco stupida. Per aggiungere un ultimo tratto,
Chérie è quasi sempre allegra: il che è consolante, per chi la conosce e
per chi le vuol bene. Ella crede che l'allegria conservi la salute e la
beltà; e a trenta anni, per questo, pare molto più giovane.
Questa Chérie, nella istoria di amore che qui racconto, è la complice
necessaria del tradimento fatto da Paolo Herz a Luisa Cima.
IV.
Ogni tanto nella buona società, si parlava dell'amore di Luisa Cima e di
Paolo Herz:
--Sarà una passione fugace, vedrete--diceva un uomo, che se ne
intendeva molto--Paolo si stancherà presto.
--Del resto, sembra che l'ami molto poco--soggiungeva uno scettico.
--E Luisa è proprio una creatura nulla. Che ci trova, poi
Paolo?--osservava un'amica di Maria.
Costoro e gli altri sbagliavano assai sul conto di Paolo Herz e del suo
amore. Egli era preso seriamente. Non sapeva neppur lui come era
accaduto. La prima volta che egli aveva vista Luisa Cima gli era parsa
nulla. Varie altre volte, il suo giudizio non si era modificato. Una sera,
però, ella teneva nelle mani un fiore di asfodelo, dal lungo gambo: e gli
aveva parlato prestamente, ridendo, battendogli sul braccio con quel
leggiero fiore, guardandolo con tenerezza e con malizia. Egli aveva
ripensato a quel viso espressivo, pallidissimo sorridendo di
compassione e di compiacenza. Ed è tutto. Più tardi, negli spasimi della
passione mortale, perversamente, Luisa Cima gli aveva narrata la
leggenda orientale dell'asfodelo e della montagna. Una montagna esiste,
salda, forte, incrollabile, in un paese d'Oriente: non l'hanno vinta nè i
cataclismi della natura, nè le mani degli uomini. Ma vi è anche un
piccolo fiore fatato, l'asfodelo: esso, gracile, tenuto da una mano gracile,
batte sulla montagna: e la montagna trema.
--Io possiedo il magico fiore--soggiunse lei ridendo, mostrando tutti i
denti fitti e minuti, attraverso le labbra rosee e le gengive esangui.
Ma ciò fu più tardi, molto più tardi! Paolo Herz non ebbe sentore del
suo gran periglio, che quando egli era completamente indifeso,
senz'arme, senza forza e senza volontà. In realtà, Paolo Herz si lasciò
andare a questo amore per Luisa Cima con una spensieratezza
baldanzosa di uomo provato dalla passione e che è certo di dominare il
proprio destino amoroso. E, in principio, questo amore che in lui
doveva mettere radici così profonde e così vitali, non parve, forse, un
flirt molto leggiadro e molto fine a cui Luisa si abbandonava con
rossori di emozione di novella iniziata, in cui Paolo aveva l'aria di un
maestro tranquillo, severo e pieno d'esperienza. Ella manteneva quel
suo contegno infantile, di una semplicità assoluta quell'aspetto di
creatura debole e vezzosa che si accosta, tremando, alle grandi ore
tempestose, che ne è sgomenta ed attratta, che, considerando il pericolo
con occhio di dubbio e di paura, pur sembra decisa ad affrontarlo.
Quasi quasi, in alcuni momenti, Paolo Herz sentiva una pietà grande di
questa donnina che invocava così audacemente e imprudentemente i
folli ardori delle supreme febbri, e la guardava con occhio pieno
d'indulgenza e di compassione, domandando a se stesso, se non fosse
più onesto avvertirla, che le povere bianche dita, dalle unghie così
scintillanti, si sarebbero bruciate, a scherzare col fuoco.
La pietà! Era un sentimento che preponderava, nel cuore di Paolo, per
Luisa e che, forse, era l'origine di tutti gli altri. Pietà dell'uomo sano per
la personcina malatticia, della persona forte per l'essere debole, del
carattere saldo e leale per un carattere incerto, puerile, fatto di bizzarre
fluttuazioni; pietà per quel volto tenue, per quei capelli troppo morbidi
e troppo fini, per quelle cose pallidamente rosee, labbra, gengive,
unghie! La pietà, sovra tutto, per questa creatura così piccina e così
fragile, che era negata a tutte le lotte gravi dell'esistenza e a tutte le
vittorie clamorose, che si doveva contentare di mezzi piaceri, di mezzi
amori, di mezzi trionfi, per questa povera piccola cara che a tante, tante
cose belle e alte della vita doveva rinunciare. Ah come la perversa
leggeva negli occhi di Paolo, il poema amorosissimo di
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