Linfedele | Page 9

Matilde Serao
a un tratto, il cielo gli parve
funebre, un odore di morte gli salì al cervello e la terra roteò sotto di lui,
ed egli intese che era perduto, si sentì perduto, perduto.

V.
Ogni tanto, nei giorni lunghi e agitati, eppure monotoni e tetri
dell'abbandono, Paolo Herz si metteva a calcolare mentalmente per
quanto tempo Luisa Cima lo avesse amato. Nella realtà delle parole,
ella gli aveva detto di volergli bene, per più di un anno, di seguito: ma
l'infelicissimo amante abbandonato, si rendeva adesso, un conto ben
preciso delle menzogne di Luisa e riducendo, riducendo, togliendo tutto
il periodo preliminare in cui Luisa Cima lo aveva amato un pochino,
togliendo tutto l'estremo periodo in cui la perversa donna lo aveva

amato sempre meno, sempre meno, egli, nella realtà dei fatti aveva
limitato questo amore a quattro mesi, dall'aprile al luglio, dalle prime
rose agli ultimi papaveri. Quattro mesi! Che sono, innanzi alla vita di
un uomo? Un soffio fugace: il tempo di un bacio, di un sorriso, di uno
sguardo incantato e incantevole, null'altro. In quei quattro mesi, come
se fosse stata travolta dal vortice della focosa e indomata passione di
Paolo Herz, la donna era stata veramente sua, in una di quelle unioni
profonde, così rare, così preziose e che vincono per sempre le anime
che comprendono l'amore. Forse, Luisa non aveva fatto che subire
l'impeto sentimentale e il trasporto sensuale di Paolo Herz, essendo ella
creatura di tempra e di fibra molto più tenue, molto più inerte; forse,
ella era stata solo l'eco di quella voce calda e vibrante di passione, alla
cui armonia, dice il divino poeta germanico, rispondono i cieli
commossi e palpitano le lontanissime stelle: forse ella non era stato che
l'istrumento sonoro e vuoto di quella magnifica sinfonia. Ma per
quattro mesi, in una primavera estasiante di luce e di profumi, in
un'estate ardente di cui ogni notte era indimenticabile, l'illusione era
stata perfetta e niun acido corrosivo di riflessione amara, di ricordo
doloroso, di rimpianto inconsolabile poteva mordere questo periodo di
amore. Egli non indagava. Sentiva di essere stato amato; sentiva di aver
tenuto fra le braccia un essere vivo e innamorato, fremente di leggiadria
e di entusiasmo, giocondo e felice; sentiva che una giovinezza
seducente, piena di una delicata poesia, gli era appartenuta,
esclusivamente, e gli aveva data una ragione suprema all'esistenza.
Quando già, in lui, gli anni avevano fatto il loro lavoro di stanchezza, di
delusione, di segreto affralimento; quando tanti piccoli e teneri ideali
erano tramontati, in lui; quando, anche lui, portava nel suo cuore il
cimitero delle speranze più balde, questa donna, questa Luisa Cima, nei
cui incerti occhi rideva il sorriso della tenerezza e della furberia, questa
donnina breve e snella, e fine, e infinitamente cara, gli aveva
dimostrato che gli anni si obliano, quando si ama; che tutte le delusioni
spariscono, quando si nutre la illusione dell'amore e che non vi sono
morti, dove vive l'amore. Quattro mesi! Niente: e tutto.
Ma dietro questo tutto delirava lo spirito di Paolo Herz, nell'abbandono
e il suo corpo soffriva, come se fosse crocefisso. Giacchè ella lo aveva
lasciato. Così. Non aveva voluto più saperne di lui. Aveva finto per

poco tempo, verso la fine. Era crudele, Luisa: ma molto logica, nella
sua crudeltà. Quando non si ama più, non si ama più. Mancò ai
convegni. Non rispose alle lettere. Non volle capire l'interrogazione
disperata degli occhi di Paolo Herz, quando lo incontrava fra le persone:
lo sfuggì, per quanto le era possibile, innanzi a una persecuzione
ostinata, accanita che egli la faceva. Infine, ebbero un colloquio. Fredda
muta, ma tranquilla, ella lo sogguardava, con gli occhi limpidi, dallo
sguardo nitido e duro.
--Di' che non mi ami più!--gridò lui, in un accesso di furore,
pronunciando la frase per lui terribile--Di' che non mi ami, non mentire
più, bugiarda, bugiarda!
--Non mento, Paolo. Non ti amo più.
Esterrefatto, egli tacque. E nelle due o tre altre volte, quando annoiata,
gelida, infastidita volgarmente, ella venne a lui, la stessa verità nuda e
semplice sgorgava da quelle rosee labbra.
--Non ti amo. Non ti amo.
--Ma perchè, ma perchè?--gridava Paolo, folle di collera e di dolore.
--Così.
--Non sai la ragione?
--Non la so. Non ti amo, ecco.
--Sei una scellerata, sei un'infame.
--Sarà: ma non ti amo.
Che dire? Che fare? Chi non ama, non ama. L'uomo tradito, almeno,
può uccidere. Ma chi non è più amato, non ha neppure il diritto di
uccidere, egli ha avuto la sua parte di bene, quando è finita, non vi è più
nulla da chiedere, nulla da pretendere. Che fare? Imporre l'amore?
Come, come? Esso non s'impone, che quando l'altro non ha cominciato
ad amare ancora; non già, quando ha finito. Creare dal niente, con un

miracolo, si può: far risorgere un un morto,
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