progrediva, qualche cascinale sparso, qualche cane che abbaiava, una fanciulla che conduceva le oche.
--Sono le oche di Gavazzini--disse Gerolamo, indirizzando la sua osservazione alla signora.
--Chi e Gavazzini?
--è il più ricco proprietario del paese--rispose Alberto.
--Tuo amico?
--Non dei più intimi, ma qui si è tutti amici. Del resto egli fa vita ritirata, e sua moglie non si vede mai. Oh! un romanzo! Lei era una istitutrice, fuggirono insieme, andarono in cima di un monte a passare la luna di miele, scrissero i loro amori sulle corteccie degli alberi. Figurati, una volta si punsero apposta un dito per bere il sangue l'uno dell'altro.... quando ti dico romanzi!
Marta si interessava, avrebbe voluto chiedere di più, ma la faccia di Gerolamo, che sembrava quella di un filosofo stoico in mezzo alle follie del mondo, le dava un po' di soggezione.
Incominciarono le prime case allineate, coi portoni aperti, da cui si intravedevano cortili verdeggianti, gruppi di vasi, lunghi anditi freschi, riparati da tendoni a righe; una gonnella svolazzava tra due usci, un visetto curioso spuntava da una finestra, i gatti scodinzolavano sulle sedie di paglia, sbadigliando, socchiudendo gli occhi. Più innanzi, nel centro del paese, si aprivano le poche botteghe; il fornaio, il pizzicagnolo, il mercante, il tabaccaio, il calzolaio, il barbiere.
--Ecco la farmacia--disse Alberto.
Marta guardò. Non c'era nessuno sulla soglia; una cortina verde, strofinata e attorcigliata come una fune, lasciava scorgere nell'interno un pezzo di scansia coi barattoli di terraglia bianca e azzurra.
--Ha moglie il farmacista?
--è vedovo; ma la riprenderà. Che cosa deve fare?
--Sicuro--disse Marta, ripetendo macchinalmente tra sè: che cosa deve fare!
--Guarda la casa di Merelli; sul canto di piazza, dipinta in giallo; l'hai vista?
--No, non l'ho vista.
--C'era la serva davanti alla porta.
--No, non l'ho vista. Ha moglie Merelli?
--Sì, ha moglie.
--E la casa di.... di quel signore.... quello che ha bevuto il sangue....
--Gavazzini? Ah! non è qui; è fuori di paese, isolata; più isolata ancora della nostra.
--La nostra è l'ultima, nevvero? è forse questa?
La cavalla rallentò, Gerolamo fece una voltata da cocchiere esperto, e, passando da un cancello spalancato, fermò di botto nel bel mezzo di un cortile vellutato d'erba minuta, con alte muraglie imbrunite dal tempo, su cui si sbizzarriva a rabeschi una lussureggiante glicina, carica di fiori.
L'aspetto generale del fabbricato e del cortile era quello di una vecchia casa borghese, comoda, dove un seguito di generazioni agiate e tranquille si erano succedute senza scosse, senza cambiamenti.
Appollonia corse fuori, tutta traballante nella sua rotondità di pan buffetto, con la facciona lucida raggiante di semplicità, la bocca aperta, le mani sporche di farina.
Marta, nel guardarla, non potè a meno di sorridere, e balzando lesta dalla carrozza gridò:
--Buon giorno, Appollonia.
Furono le prime parole che la nuova padrona pronunciò entrando ne' suoi domin?. Gerolamo ammiccò segretamente Appollonia, con uno stringimento di palpebre che voleva dire: Va bene, va bene! E la grossa serva, sgangherando la bocca fino alle orecchie, mostrò di aver inteso il senso di questa affermazione.
Marta non doveva dimenticare più quel momento del suo arrivo, in un ridente giorno di aprile; i grappoli lilla che fiorivano sui muri, l'erba del cortile, una pace, una serenità diffusa nell'aria, un benessere sicuro che sembrava uscire dalle muraglie della vecchia casa; perfino il volto bonario di Appollonia e il nitrito della cavalla che scuoteva il muso fine sotto le carezze di Gerolamo.
Alberto, senza aspettare ch'ella si levasse il cappello, passò il braccio sotto il braccio di sua moglie e la condusse subito a visitare la casa.
Niente di ricercato nè di pomposo. Una grande comodità in tutto, nella disposizione delle camere, nei mobili, negli ampi seggioloni, nei divani sparsi con abbondanza; una certa ricchezza tradizionale ma tranquilla; buoni quadri, stipi intarsiati, biancheria accuratissima, delle vecchie maioliche di famiglie.
--Queste sedie le ha ricamate mia madre--disse Alberto.
Erano otto sedie di legno chiaro con profili dorati, coperte di ricami a mezzo punto, bellissimi, tutti l'uno differente dall'altro.
Marta le ammirò religiosamente, commossa.
--Questo è il mio ritratto di quando ero bambino.
Marta vi si precipitò sopra, coprendolo di baci e di esclamazioni, portandolo sotto alla finestra per esaminarlo meglio.
--Come è bellino! Care queste spalluccie nude! E che occhietti! E le manine, Dio, che manine... ma avevi le mani così piccole allora?
--Caspita, i bambini!...
Risero entrambi, stringendosi il braccio, felici. Salirono così lo scalone che conduceva al piano superiore.
--Ma è tutto bello qui, sai?
--Sì, non c'è male. è comodo.
Entrarono nella camera da letto. Tre finestroni la illuminavano, facendo penetrare i raggi del sole attraverso un ricco cortinaggio di stoffa a fiori sopra un fondo cilestrino. Della medesima stoffa era il panno del letto, altissimo, ampio, per metà ricoperto di un piumino di seta celeste, sull'orlo del quale ricadeva, accuratamente stirata, la trina del lenzuolo. Sulla pettiniera un'altra trina, nel festone della quale serpeggiava un nastro celeste, faceva da sopporto a un servizio di cristallo, lucentissimo. Sugli specchi, sulle cornici non si scorgeva un atomo di polvere.
--è
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