Lindomani | Page 5

Neera
la spalla da buon
camerata--anderai subito d'accordo con tutti, brava gente, ottima gente.
Il dottorone già, curioso, vorrà vederti per il primo.
--C'è un dottore curioso?
--Curioso proprio no, ma in questo caso sarà curioso, perchè mi
conosce da bambino e mi ha già avvertito che vuoi farti la corte. Te ne
intendi tu di poesia? E di cucina? Se hai sulle dita questi due argomenti,
il dottore è tuo.

--E con gli ammalati parla di poesia?
--Egli non fa visite a nessun ammalato; non s'intende nemmeno del
polso. Deve aver studiato medicina trent'anni fa, e per questo lo
chiamano dottore; ma poi ha fatto un po' di tutto, il signore, il poeta, il
cospiratore, il gaudente, il soldato, tutto fuorchè il medico. È un
originale, un essere squilibrato. A volte parla troppo, a volte tace dei
giorni intieri. Ma se hai da insegnargli qualche piatto ghiotto, parlerà.
Intanto che Alberto schizzava il profilo del suo amico, Marta, che in
venti o venticinque giorni di matrimonio non si era ancora saziata di
guardarlo, seguiva i movimenti della sua bocca, de' suoi occhi, la
pozzetta graziosissima che il sorriso scavava nella sua guancia sinistra.
Mirava ad uno ad uno i peli dei suoi baffi e l'arricciatura morbida della
barba nella quale egli faceva spesso passare la mano, seguendo quella
mano, attaccandosi a lui per tutti i sensi, sentendosi sempre troppo
lontana. A poco a poco gli si era accostata, muta, ansando lievemente
col petto. Alberto allora si ritirò nell'angolo della carrozza, gentilmente,
per farle posto.
--Passa il signor Merelli--disse Gerolamo senza voltarsi, con la sua
voce da ventriloquo.
Ma Alberto l'udì. Si sporse vivamente fuori della carrozza
sbracciandosi verso due individui che costeggiavano la strada maestra.
I due si levarono il cappello.
--Salite?
--No, grazie. Ben arrivato.
Nuovo saluto alla signora.
--Nessuna novità?
--Nessuna.
--A rivederci.

Terzo saluto.
--Ah! cari--esclamò Alberto abbandonandosi sui cuscini della
vettura--quel capo ameno di Merelli, quel simpaticone di un farmacista!
Tanto per dire qualche cosa, per interessarsi anche lei a quello che
interessava suo marito, Marta chiese:
--Sono tuoi amici?
--Merelli sì, Merelli fin dal ginnasio; abbiamo fatto la quarta e la quinta
insieme. Fu lui che il giorno onomastico del professore... Ah! ma tu
non sai, non sai, che bel matto!
--E l'altro?
--L'altro è il farmacista, Toniolo: quello che mi diceva sempre: prendi
moglie, alla nostra età è ancora il meglio che si possa fare.
Il piacere di aver riveduto i suoi amici, di riprendere le antiche abitudini,
coloriva il volto di Alberto e faceva luccicare i suoi occhi piccoli e
buoni. Egli si fregava i ginocchi colle mani, guardando la coda della
cavalla.
Marta si rimproverava di non partecipare a quella gioia, di provare
invece una impressione di tristezza, quasi d'invidia. Le venne in mente
sua madre, sua madre ch'ella aveva un poco dimenticata durante il
viaggio, e che da piccina le diceva e da grande le ripeteva: «Marta sei
troppo impressionabile, troppo esclusiva, senti troppo, pensi troppo.
Ciò non conduce alla felicità.» Parole che ella aveva ritenute come
un'aria da organetto e che ora le tornavano alla mente, ma più chiare,
della chiarezza improvvisa di un lume che s'accende. Volendo vincersi,
volendo uscire da quell'esclusivismo che, a detta di sua madre, non
l'avrebbe resa felice, guardò intorno la bella campagna, gli alberi, le
siepi entro cui svolazzavano le farfalle.
--Ti piacciono questi luoghi? domandò Alberto.

--Sì, molto.
--Io non posso vedermi altrove. In città sto bene otto giorni, poi sento la
nostalgia de' miei campi.
--A me pare che starei bene dovunque con te.
--Cara!
Egli disse: cara. Non era una dolce parola? Perchè Marta non esultò?
Perchè rimase fredda in apparenza e muta? Ella ascoltava ancora,
ripercosso nell'aria e nel suo orecchio, il suono uguale, identico a
quello di un momento prima, quando aveva detto: cari! E le pareva una
stonatura, una nota falsa che alterasse il valore della parola. Si chinò
verso di lui, con la bocca contro il suo collo, mormorandogli nel folto
dei capelli: Caro! caro! caro!
Egli la respinse vivamente, indicando Gerolamo. Marta alzò le spalle.
Sarebbe stato così bello baciarsi, lì, sotto il cielo fulgido, intanto che la
carrozzella correva! Chi li avrebbe visti? E quand'anche! Tornò a
guardare la strada che fuggiva, guardò gli alberi; dal cortile di un
cascinale saliva acuto nell'aria il chiocciare di alcune galline. I
mandorli fioriti allargavano le braccia, i boccioli dei peschi
punteggiavano, nella freschezza rosea di labbra dischiuse, i loro
ramoscelli privi ancora di foglie; e delle goccie sparse, rugiada, gomma,
lacrime misteriose della natura, luccicavano sopra il verde tenero,
frammiste ai fili d'argento che gli aracnidi sospendevano da ramo a
ramo.
Il cuore di Marta si gonfiava, pieno di tenerezza, con un bisogno di
espandersi, di abbracciare, col segreto desiderio di quelle ferite per cui
l'animo trabocca e dilaga in
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