il domani solo le avrebbe
aperte le porte misteriose dell'amore.
A questo bene futuro Marta tendeva avidamente il cuore e le braccia, in
mezzo ai preparativi febbrili delle nozze; indifferente alla gioia dei doni,
toccando con mano distratta i ricami e le trine del corredo, sorridendo
lievemente agli auguri, non gustando, non afferrando quei lembi, quelle
particelle di felicità che le roteavano intorno, con gli occhi fissi alla
meta. Nè le gentilezze di Alberto, nè il bacio che, presente la mamma,
le imprimeva sulla mano e gli ultimi giorni sulla guancia, la toccavano
molto. Dopo--ella pensava--quando ci ameremo davvero, quando
saremo soli!
A quindici anni Marta aveva avuta la prima preoccupazione d'amore;
null'altro che un fremito, una lunga stretta di mano, uno sguardo che la
fece trasalire; e poi molte notti d'insonnia, molte ore di tristezza, molte
lagrime sparse in segreto; nessuna ebbrezza amorosa, ma l'intuizione di
tutte le ebbrezze. Ed era finito così.
Più tardi, in società, le era occorso di fissare a preferenza gli occhi in
certi dati occhi, di ballare volentieri con un giovane piuttosto che con
un altro; ma siccome ella non poteva andare incontro a questi sprazzi
d'amore, nè sollecitarli, nè abbandonarvisi, erano passati otto anni,
vuoti in apparenza e freddi.
Qualunque fossero stati i sogni, i desideri, le speranze, l'attesa degli
otto anni trascorsi, tutto doveva ora avere compimento. Nella pienezza
del suo sviluppo di donna, l'anima, i sensi, il pensiero chiedevano la
loro parte a Marta, che ripeteva trepidando: dopo! dopo!
L'altare, il municipio, la mamma che piangeva, la partenza dalla casa
paterna, ella vide tutto ciò ravvolto in una nube; una delle tante nubi
che avvicendandosi, sciogliendosi, riunendosi di nuovo sotto forme ed
aspetti differenti, le toglievano la percezione del vero, di quell'unico
punto essenziale dove ella figgeva gli occhi e che le veniva sempre
conteso. Non era mai stata sola con Alberto; quando si trovavano
insieme avevano una quantità di discorsi già preparati; il tappezziere, la
sarta, l'orefice, gli inviti, l'orario del viaggio.
Alberto correva avanti e indietro, affaccendato, con un fascio di carte
da controllare, da firmare; sempre sereno ed ilare.
È un angelo di bontà! esclamava la mamma. Marta lo guardava
intensamente, fino in fondo agli occhi, sì ch'egli diceva ridendo: Eh! mi
vuoi magnetizzare!
Finiranno questi trambusti, pensava Marta; egli sarà mio, tutto mio;
ancora due giorni, un giorno, un'ora....
Marta si vestiva adagio, in piedi nel corsello; allacciando a malincuore
il nastrino rosa della sua bella camicia da sposa, fermandosi a guardare
il fogliame dei trafori che spiccava in rilievo sopra un fondo di piccole
stelle.
Una delle sue preoccupazioni, prima di maritarsi, era stata quella di
dover mostrare le braccia ad Alberto, i suoi braccini esili di bimba
cresciuta presto. Fortuna, pensò, che non li ha nemmeno visti!
Strinse il busto, nuovo fiammante, punteggiato di seta bianca; allacciò
sui fianchi un amore di gonnellino tutto a balze ricamate sopra un
trasparente di flanella rosea--una gonnella pericolosa--aveva detto la
mamma. Perchè? Infilò le calze, gli stivaletti, l'abito; era vestita.
Tornò a guardare Alberto e la riprese la commozione; una strana
commozione fatta di desiderio e di rimpianto, di tenerezza ardentissima
e di un freddo pauroso.--Oh! Alberto--mormorò con le mani giunte--se
io mi fossi sbagliata, se non dovessi comprenderti...
La serietà della sua educazione e del suo temperamento sorgeva
rigorosa in lei, inalberando il fantasma del dovere. Le pastoie
dell'immaginazione dovevano scomparire davanti al compito austero
della vita; assumeva ora una sacra missione, aveva in pugno la felicità e
l'onore di quell'uomo, gli doveva tutto l'affetto, tutta l'ubbidienza, tutti i
sacrifici. Si era sposata, era cosa sua.
Come avrebbe voluto fare qualche cosa di grande, di eroico, per
mostrare la sua forza di amore! Fuggire dal mondo, seppellirsi viva in
un deserto, rinunciare a tutto, ma coll'amore di Alberto, di quel bel
giovane che ella si struggeva d'amare, al quale chiedeva ancora con un
pauroso sgomento il responso della sua felicità.
Muta accanto al letto, sognava ebbrezze sconosciute, rapimenti lontani,
indefiniti, pur temendo di risvegliare Alberto, guatandolo furtiva. Egli
aveva un volto regolarissimo, il profilo nobile e puro; una fossetta nel
mento, la barba morbida e fluente, divisa alla nazarena. I capelli
vaporosi prendevano con la pressione del guanciale cento forme,
improvvisando riccioli fanciulleschi, circondando capricciosamente
l'orecchio di una delicatezza femminea.
Ma egli a che cosa pensava? Quali visioni gli attraversavano il sonno?
Aveva sempre dormito così su un fianco, con un braccio sotto la testa,
l'altro allungato? Così roseo, così calmo? Che cosa chiudeva la sfinge
di quel bel volto e quando mai ella potrebbe, penetrandogli nell'anima,
chiamarlo veramente suo?
Ella avrebbe tanto volontieri squarciata la sua mente e il suo cuore
davanti a lui, per mostrargli che ne era compresa; per un bisogno
irresistibile di fusione, che l'avvicinamento materiale aveva irritato
senza soddisfare. No, non poteva essere sempre
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