sa dissimulare il proprio orgoglio, dormendo sul
proprio strumento quando gli altri suonatori fanno il maggior
strepito.--Egli incarica il più prossimo de' suoi colleghi di orchestra di
svegliarlo a tempo debito.
Al destarsi, afferra i due battenti e percuote; ma quando il vicino si
dimentica di svegliarlo, egli prolunga i suoi sonni fino al calar del
sipario. Allora, si riscuote, si accorge che l'opera è finita, si stropiccia
gli occhi; e se avviene che il direttore di orchestra lo rimproveri di aver
mancato all'attacco, risponde, crollando le spalle: «tanto, anche senza i
miei rulli, il tenore è morto lo stesso.... Rullo più, rullo meno, così la
deve finire!»
_Gran Cassa._
Inutile parlarne.--È lo strumento dell'epoca; e Ministri, Deputati,
Scienziati, Poeti, Parrucchieri, Cavadenti hanno imparato a suonarlo
per eccellenza... Le cretine moltitudini accorreranno sempre al richiamo
del poum!... poum!... e avrà sempre ragione chi batterà più forte.
CIÒ CHE SI VEDE IN UN TEATRO POPOLARE
A dirvela schietta, lettori miei, io non ho mai capito perchè il teatro
debba chiamarsi scuola di civiltà. Chi va in teatro per educarsi? E quali
insegnamenti si attendono da un dramma, da una commedia, da
un'opera in musica, da un ballo? La tragedia antica insegnava l'incesto;
il dramma moderno insegna l'adulterio; l'opera in musica insegna
l'assurdo; il ballo insegna a misurare collo sguardo la periferia di
cinquanta o più mappamondi di carne femminina. Il palco scenico è,
per le figlie del popolo, una scuola di prostituzione; pei giovani artisti
una scuola di ciurmeria e di vagabondaggio. Ecco la grande educazione
che il teatro può dare a quanti vi si consacrano per professione.
Quanto al pubblico.... Mio Dio! Lo avete mai sviscerato, questo ente
collettivo che si chiama il pubblico? Su mille spettatori che assistono
all'opera, io ve ne do una sessantina, un centinaio al più, che
comprendano qualche cosa del dramma e della musica. Tutti gli altri
sono in teatro per guardarsi, per far all'amore, per vedere delle spalle
nude e delle coscie in maglia.
Era una bella giornata del giugno 1858, ed io pranzava all'albergo della
Gran Bretagna in compagnia di un Inglese che un anno prima avevo
conosciuto a Parigi. Questo Inglese apparteneva alla classe aristocratica,
e si vantava grande dilettante di musica e adoratore fanatico dell'opera
italiana.
In quella stagione non c'era a Milano altro spettacolo d'opera fuor
quello del teatro dei Giardini Pubblici, dove si rappresentava l'Attila di
Verdi da una compagnia di cantanti accozzati da un certo Corti di
Bergamo, il quale, oltre ad essere impresario, aveva assunto nel
melodramma la parte del baritono.
Il mio Inglese, in mancanza di meglio, accolse il partito di recarsi al
teatro dei Giardini Pubblici, ed io ve lo accompagnai di buon grado.
Entrammo nel circo ad ora conveniente per prendere un posto di nostra
elezione. Saliti alla galleria--«mettiamoci nella seconda fila delle sedie,
dissi all'Inglese; così potremo distendere le gambe a nostro bell'agio.»
E queste parole mi venivano ispirate da un sentimento di pietà,
perocchè il signor Jhonnes era fornito di un paio di gambe così lunghe
ed inflessibili, ch'egli durava molta pena a raccorciarle fra la sedia ed il
parapetto.
Ma come le gambe, così anche il cervello del signor Jhonnes era di
fabbrica inglese. Egli si ostinava a rimanere nella prima fila; e dopo
sforzi incredibili era riuscito ad impiombarsi là dentro come un conio
nella spaccatura d'una quercia. Che fare? Per debito di cortesia mi
convenne inchiodarmi al di lui fianco.
La gente comincia a farsi spessa; e mentre l'Inglese col libretto alla
mano sillaba i versi alla meglio, ecco quattro donne ci sovrastano colle
immani crinoline e domandano di scendere nella prima fila....
--Mammina! qui vi sono due posti, grida una fanciulletta di circa dodici
anni--se quel signore volesse ritirare le sue pertiche dall'altra parte....
--Impertinente! esclama una grossa matrona che domina il
drappello--son questi i modi di chiedere un favore? Mille perdoni!--se
monsù vuol far la gentilezza di rettificare le sue gambe....
Ma l'Inglese non dà retta; e la più giovane delle ragazze piomba colla
persona fra il parapetto e la sedia, appoggiandosi senza misericordia sui
piedi del mio onorevole compagno.
--Goddem!--esclama il sig. Jhonnes; mio piete non statte scapello!....
Ma la ragazza, senza badare, attira la compagna sull'altra sedia vacante.
--Noi siamo ancora dei fortunati, dico io sotto voce all'Inglese; se
invece delle ragazze fossero scese le due matrone che ci stanno dietro
la schiena, c'era da morirne asfissiati.
--Io non posse rimanere in posizione! esclama l'Inglese.--Signorina, la
preghe tenere campe più corte.
--Cecilia! grida di nuovo una delle matrone....; ricordati che siamo in
teatro!....
--Ma che colpa ci ho io, mammina, se questo signore ha certe stanghe!
--Di nuovo ti dico di misurare i termini.... Bada che se mi fai la matta,
ti riconduco a casa...
--Eh! ora, a casa non ci torno più, dice la ragazzetta all'orecchio
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