dalle prime stelle. Qualche torre rompeva qua e là il
monotono orizzonte, qualche squilla dava il saluto della sera, e il
lontano canto del pastore addolciva la tetra calma della natura. A poco
a poco però anco l'orbita infuocata del sole sparve, e con lui ogni luce
animatrice. L'azzurro celeste brillò più vivo e tagliato, la luna concesse
i suoi primi sorrisi, e quei raggi di argento spezzavano la tenebria e
infondevano la vita pacata e solitaria della notte alle falde deserte. Le
alture d'Acquaviva erano anch'esse inondate da quella luce, e perchè
franate da ogni banda e segate dalla sommità ai declivii da torrentelli e
gore, il contrasto dei dirupi colle spianate riusciva armonico e
pittoresco. Vedute da lontano si sarebbero assomigliate a piccoli
vulcani spenti, i rivoli delle cui lave impietrati brillassero al cospetto
della luna, e di cui i crateri si fossero per potenza misteriosa riempiuti
sotto uno smalto uniforme insieme e vago di lucidi massi e zolle fiorite.
Nuotante in un oceano indefinito di splendore argenteo, il povero
paesuolo s'ergeva sparso in rustici casali su quelle cime; contemplato
da settentrione sembrava si librasse lassù quasi in atto di fuga, veduto
da Sutera pareva rituffato da palmo invisibile nei gorghi della valle;
nuova sirena, Acquaviva ingannava lo straniero; appariva bella e
graziosa, era in realtà misera e poca. Abituro di mandriani e caprai,
teneva aspetto di luogo delizioso, era all'incontro umile comune, eretto
là in alto, fra le viscere della valle e le vette più giganti, siccome rifugio
dalle bufere e dai turbini.
Questa scena alpestre, questa pace tutta montana, questa quiete riposata
e tranquilla, venivano però spezzate e rotte da alte grida che partivano
da Acquaviva e dalle alture vicine. Erano voci di guerra, erano urla di
vittoria e rabbia, spari, rimbombi, suono d'armi percosse, lunghi sospiri
soffocati, brevi bestemmie. Due schiere italiane, là, su quelle cime pure
italiane, si straziavano, si uccidevano, vincevano, fuggivano, con ferri
italiani, in nome d'Italia. Gli echi ripetevano quelle grida e quegli urli, e
nel buio della notte avresti detto che uscissero dal seno stesso della
terra, se qualche fuggitivo scorazzante alla cieca, se qualche ferito
sanguinolento e sbaldanzito non fossero ad ogni poco apparsi a dar
conferma alla dura realtà: nati tutti sotto lo stesso cielo, tutti parlanti
l'istessa favella, tutti figliuoli della medesima patria, combattevano da
ore parecchio al grido smisurato di Viva il re gli uni, Viva la libertà gli
altri. Pur
«D'una terra son tutti: un linguaggio Parlan tutti: fratelli li dice Lo
straniero: il comune lignaggio A ognuno d'essi dal volto traspar. Questa
terra fu a tutti nutrice, Questa terra, di sangue ora intrisa, Che natura
dall'altre ha divisa, E ricinta coll'Alpe e col mar. . . . . . . . . . . . . . . . .
Ahi sventura! sventura! sventura! I fratelli hanno ucciso i fratelli:
Questa orrenda novella vi do!.
Un giovane col petto squarciato, col viso sanguinoso, coi panni bruciati
dal fuoco e dalla polvere, scendeva in mezzo a quel disperato turbinio
dal paese lungo il corso di un piccolo torrente. Ad ogni passo
inciampava, piegava le ginocchia, e se forse per solo istinto non
poggiava la persona sulle mani stese al suolo cadeva e cadendo
precipitava dall'alta ripa. Gli occhi smarriti, la pallida fronte, il respiro
angosciato, il tremito delle membra, il sudore gelato che gli gocciava,
ben dicevano che a quel misero ferito era presso la morte. Pur volle
contemplare ancora un istante il triste spettacolo, e comprimendo colla
destra l'affanno del cuore, si rizzò e stese la libera mano in atto di
supremo saluto al paesuolo. A quello sforzo però svenne, e caduto
boccheggiante sull'erba arrossata mormorò;--Italia, ricevi l'addio ultimo
d'Arnoldo--e spirò. Nato e cresciuto in Acquaviva, moriva
cittadino-soldato col nome di patria sulle labbra!
Guidati da Pardo, gl'insorti ributtavano con ostinato valore gli uomini
di Frazitto; il quale, irato di cedere innanzi a un pugno di montanari,
incuorava colle parole e coll'esempio i soldati a tener salda la bandiera
del Monarca e far onore all'assisa che vestivano. E per verità
combattevano da prodi, ben mostravano d'esser nipoti di quegli eroi che
Murat aveva lanciati fra i ghiacci della Russia a sostegno dell'aquila
francese; ma Pardo, coraggioso ed audace, ardito nelle avvisaglie e
prudente ai ripari, collo sguardo rianimatore, colla parola infocata, colla
mano di ferro, a tutto era pronto, tutto faceva, ordinava tutto; portato da
focoso destriero, correva tutti i lati del campo, si gettava nel più folto
della mischia, qui riparava i colpi diretti a un fante, là quelli minacciosi
all'amico, sereno in viso siccome uomo che tenga in pugno la vittoria,
orgoglioso di onorare il nome italiano. Il cavallo, quasi esso pure
dividesse la gioia e l'ardenza del padrone, s'imbaldiva, impennava,
correva, volava; e là dove più stretta era la tenzone, dove il fumo
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