Le rive della Bormida nel 1794 | Page 8

Giuseppe Cesare Abba
cui, traverso la finestra
di sua madre, posavano i raggi del lume che essa teneva acceso. Quel
tratto di suolo, lo percosse come la vista d'un sepolcro scoperchiato; e
subito gli passò per la mente, fantasia maluriosa, l'ultima notte, in cui,
la sua dolce madre sarebbe giaciuta morta sul proprio letto; e il lume
funereo avrebbe posato i suoi raggi in quella maniera lugubre, da
quell'istessa finestra, forse su quell'istesso tratto di suolo. Provò l'amaro
desiderio di morire prima di quella notte, e chiuse le imposte pensando
che grande miseria sarebbe stata quel giorno, in cui nè in casa nè fuori
avrebbe più incontrato sua madre. «Che la vita sia corta è un
bene:--mormorò allora avvicinandosi ad uno scaffale--e guai a noi se
uno potesse farci dono dell'immortalità qui in terra, nel momento che ci
muore la madre!.... Sì, che la vita sia corta è un bene, e chi se ne lagna
ha torto; perchè coll'amore, collo studio, col lavoro, si può farla valere
secoli.» Così dicendo prese un grosso volume, l'aperse sul tavolino,
sedette, e raccolte le tempia fra le mani, si sprofondò nella lettura, o
forse in chi sa quali pensieri. Ad ogni modo, chiunque l'avesse visto in
quell'ora, avrebbe pensato che tanta meditazione, non fosse cosa da
potersi rompere, senza togliere all'anima del giovine qualche ineffabile
ed austera consolazione.

CAPITOLO II.
Marta essa sola, se fosse stata vicina a Giuliano, non avrebbe avuto
rispetto alla sua meditazione; offesa, stizzita, afflitta, per le cose udite
da lui. A quell'ora dava volta nel proprio letto, ora su d'un fianco ora
sull'altro; colla mente piena d'Alemanni, col cuore travagliato dalla
paura del pievano; il quale aveva predicato e fatto predicare dal
capuccino del quaresimale, che guai a chi avesse negato qualcosa a
qualcuno di quei soldati. Ora questo pievano non era uomo da farsi
pigliare a gabbo; e quel che diceva faceva; e le cose della sua cura le
conosceva a puntino; vedendo dentro le case come fossero state senza
tetto, o avessero avuto le mura di vetro. Venuto trent'anni prima a
quella pievania, la gente del borgo gli era nata più che mezza sotto gli
occhi; e quelli che non erano stati battezzati da lui lo temevano,
sebbene gli fossero meno reverenti. Rammentavano d'essere andati ad

incontrarlo il giorno del suo arrivo, lontano un bel tratto, in processione,
a suon di campane; e vivevano ancora quasi tutte le donne, che da
giovinette tra le più belle e dei migliori casati, gli avevano fatto la
fiorita per la via, vestite di bianco, e cantando lodi come al Nazzareno.
Ma in cambio, a cavallo d'una gagliarda giumenta, accompagnato da un
mulattiere carico di parecchie casse, e da una donnicciola che pareva
venisse a morte su d'un'asina stanca; avevano visto comparire un prete
prosperoso e di cera ardita; il quale ricevute le prime accoglienze,
aveva subito comandato di dar volta ai maggiorenti che menavano la
processione, e alle fanciulle che, dinanzi a lui, s'erano tutte confuse e
messe cogli occhi bassi. Entrato al suo posto, era stato poco a mostrare
d'aver preso alla lettera i nomi di pastore e di gregge: alcuni che
avevano osato di badare alle opere sue, con due o tre esempi gli aveva
fatti star zitti; e a poco a poco s'era acconciato in casa, come se fosse
stato certo di campare cent'anni. E a dir vero, ai tempi di questa storia,
aveva già fatti i funerali a una generazione intera, senza essersi mai
lagnato d'un dolor di capo; e faceva conto di logorare un'altra ventina di
calendari, prima che un successore fosse venuto a cantargli le esequie.
Allora aveva sessant'anni, e a vederlo come vestiva lindo e con panni
bene attagliati alla persona, si capiva che da giovane gli era piaciuto di
parere un bel prete: ma i suoi occhi grigi, le guancie rubiconde e un
tantino cascanti senz'essere flosce, i capelli sciolti e giù bassi sulla
fronte; un paio d'orecchie grossissime, infiammate, ciondolanti a guisa
di bargiglioni, gli davano piuttosto l'aspetto d'un uomo stato pronto e
violento. Forse aveva sbagliato il mestiere, perchè sui fatti suoi, rispetto
a certi voti, nessuno osava lodarlo; era avaro salvo che in certi casi che
faceva il grande coi grandi; e per desinare da un amico non badava a
fare mezza dozzina di miglia. Sebbene fosse di poca coltura, perchè
appena uscito di Seminario aveva smesso di leggere; non isdegnava gli
ecclesiastici dotti, se gli accadeva di incontrarne qualcuno: ma i laici
che sapevano di lettere li teneva d'occhio, e godeva che il volgo li
chiamasse stregoni e gli avesse sospetto. Anzi li gridava dal pulpito a
dirittura uomini perniciosi, citando esempi, facendo allusioni, dando a
capire di chi voleva parlare; e queste erano piccole giunte alle prediche
che egli sapeva fare, e che ogni tre o quattro anni tornavano
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