sempre ad
essere le stesse; perchè egli le studiava in certi quaderni di carta
ingiallita, scarabocchiati sulle copertine con frappe, con date antiche,
con nomi diversi di preti, annestati a motti latini. Quei quaderni erano
una sorta d'eredità passata per molte mani, e tenuta da lui molto
riguardata in una cassetta, che il giorno del suo arrivo era parsa ai
curiosi uno scrigno: e le più belle di quelle prediche le recitava dinanzi
ai nobili, che dal Monferrato o da altra parte del Piemonte, capitavano
la state a pigliare i freschi nei loro poderi di quelle valli. Era conosciuto
da tutti costoro, perchè tutti ei visitava lontano sin dove poteva andare e
tornare in una giornata; e ne aveva avuto sempre doni e carezze. Diceva
spesso d'uno molto potente in corte al Re di Sardegna, che gli aveva
dato a capire, di non sapere bene se i preti gli avesse a chiamare prima
o seconda milizia dello Stato; e che a sentir suo, nella loro gerarchia, un
pievano era pari e forse da più d'un capitano in quella dei soldati di sua
Maestà. Del rimanente ogni volta che tornava fuori con questo discorso,
finiva sempre dicendo che agli onori non si doveva badare; la massima
che l'uomo non deve porre troppo affetto nelle cose terrene, nè in padre,
nè in madre, l'aveva sulle labbra sovente, come fosse un suo proverbio;
forse non aveva mai pianto, prosperava un anno più dell'altro; nel 1794
faceva quasi la sessantina e il suo nome era don Apollinare.
La donna arrivata con lui il giorno ch'egli chiamava del suo avvento,
era una sua sorella più vecchia che ei si teneva in casa; creatura
spersonita ed infermiccia, che proprio reggeva l'anima coi denti. Era
così asciutta e grinzosa, che un parente tornato a vederla dopo mezzo
secolo, non avrebbe osato abbracciarla, dalla tema di sentirsela
scricchiolare tra le mani. Sotto la cuffia che colle guarnizioni faceva
alla faccia scarna una cornice disadatta, mostrava corti capelli color di
cenere, che forse erano una parrucca: un'aria soave di purità, spirava da
tutta la sua esile persona; aveva di bello gli occhi, neri, grandi, pieni
d'una profonda bontà. E buona la era davvero, sebbene la natura e la
fortuna se la fossero presa in fra due; e la prima n'avesse formato una di
quelle creature che stanno sulla terra lunghissimi anni, e paiono sempre
vicino a morire; l'altra l'avesse posta tra quelle donne, costrette a
rimanersi zitelle e ad invecchiare in casa a qualche congiunto, non care,
non respinte, sofferte quasi da serve. La poveretta bisognosa di
consolazioni più che d'aria per vivere; dopo la sua venuta a D.... non ne
aveva avuto che di due maniere, quasi da celia. Ed una era questa che
se la quaresima capitava al presbiterio qualcuno, recando uova e salati,
e chiedendo licenza di mangiar latticini e di non digiunare, per sè o per
un ammalato; essa con aria mistica e solenne mandava il supplicante,
sciolto dalle discipline del magro e del digiuno; e non dimenticava mai
di dire, che a concedere quelle licenze, il vescovo ci aveva messo il
pievano, e il pievano ci aveva messo lei. L'altra delle sue allegrezze la
provava ammanendo il caffè pel suo fratello ogni giorno, e le feste
solenni per i sette od otto preti del borgo, che venivano a pigliarlo con
lui dopo il desinare. Godeva a udirli sorbire quella bevanda, di cui
allora si cominciava appena a parlare, come di cosa dell'altro mondo;
ma essa non ne assaggiava, perchè la sua bocca non era da tanto. Si
innebriava aspirandone il fumo, si teneva onorata d'avere in casa quella
delicatura, che anco i più ricchi del borgo non avevano ancora; e se
conversando dinanzi la porta, colle donne del vicinato, le riusciva di far
cadere il discorso su tanta grazia di Dio; ne diceva da far venire
l'acquolina a tutte; poi con certo suo piglio orgoglioso e cortese, saliva
di sopra, e poco dopo s'affacciava con in mano un bricco lucente,
donato al fratello da non so che marchesana di quelle parti. E
porgendolo a vedere imitava, senza volerlo, l'atto che soleva fare il
pievano, nell'alzare il reliquiario più venerato della chiesa, a
scongiurare il mal tempo. I fanciulli, che non sapevano del celibato dei
preti, sino a una certa età non la chiamavano altrimenti che la moglie
del pievano; al suo nome di Placidia, si soleva aggiungere dai più il
titolo nobilesco di donna; derisione inconsapevole a una povera
creatura, che nulla aveva della donna salvo che i guai; nessuno
avendola mai chiesta sposa, nessuno amata, e potendosi dire di lei, che
la si aveva lasciata vivere per non commettere un peccato mortale.
Don Apollinare non aveva dato guari segni di voler bene a questa sua
sorella, nei tempi quieti; ma in quelli torbidi che s'erano
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