Le nostalgie | Page 5

Luigi Gualdo
lei cui già mancava la voce egli si stese
E con le labbra ardenti le
dolci labbra prese.
La fanciulla innocente serrò con infinita
Tenerezza colui che le dava
la vita,
Colui ch'ella, già debole, chiamava salvatore.
E nulla ella
sapeva pur sapendo l'amore.
Lo sguardo nel suo sguardo ella teneva
fisso,
E in estasi novella pareale in un abisso
Cadere lentamente,
nelle brame infinite,
Parean le loro bocche eternamente unite
Ed era
un di quei baci che finir non si ponno.
Sembrava su lor scendere

misterïoso sonno
E a un tempo li riempiva possanza sovrumana.

Egli sentiva in sè vibrar la forza arcana
D'una felicità che non avrà
più fine,
Urtarsi le violenze delle gioie divine,
E allor dalla sua
bocca del bacio prigioniera
Un mormorìo s'udì, una voce leggiera.
Gli augelli che passavano in ciel con l'ali aperte
Fermavansi a
guardare quelle due forme incerte
E sovra il dolce gruppo
circoscriveano il volo.
E quello che vedevano sembrava un corpo solo

Pien di forza e di grazia e doppio ed indiviso,
Simile a visïone
d'ignoto paradiso.
Fu un lampo. Ma rinchiuso in la breve durata
Era
un eterno gaudio. Lei s'era risvegliata
E le parea risorta esser già dalla
morte
E spinta nel mistero d'una novella sorte...
E s'abbrancava al
giovine e lo teneva stretto.
Ma fu lui che pel primo sentì scemar nel
petto
Il soffio ed il vigore... fu lui che la fortezza
Aveva degli
olimpici cui vinceva in bellezza.
E con un lieve gemito, un rantolo
d'amore,
Da un'indicibil estasi suprema, da un languore
Si sentì
tutto invadere soavissimo e fatale
E si coprì il suo volto di pallore
mortale.
Ed egli sprofondava. Per un minuto ancora
Ella il potè
sorreggere, ma poi cedette, e allora
Sempre più avvinta a lui, confusi
in una speme,
Unì il suo corpo al suo per rimanere insieme.
--E
lenta ma sicura già l'inghiottiva l'onda.--Pria
s'agitò una forma, indi
una chioma bionda
Si vide ancor confondersi col bianco della spalla;

L'oro di quei capelli restò un istante a galla,
Poi l'acqua lo coprì
con mormorio leggiero.--
Ella lo avea seguito nel sogno e nel mistero

Sentendo che divisi non sarìano più mai.
E più vivi ed ardenti dardeggia il sole i rai:
Sovra l'immenso oceano
più nulla si discerne.
I flutti hanno più flebili le lamentele eterne,
E
par che alfin si stenda, dovunque, in ciel, sull'onda,
Inalterabilmente
serenità profonda.
IV.
ALLA SERA

Stanca è la terra e lasse son le cose;
L'uomo è languente come la
natura.
Scende dal cìelo una gran pace oscura.
Pendono già gli steli
delle rose.
L'uomo è languente come la natura.
Sorgon dall'alme le armonie
nascose,
Pendono già gli steli delle rose,
Cessa la gioia e cede la
sventura.
Sorgon nell'alme le armonie nascose
Rivelatrici di vita futura...

Cessa la gioia e cede la sventura
Tra l'acri voluttà misterïose.
Rivelatrici di vita futura
Son le tinte fugaci e calorose;
Tra l'acri
voluttà misterïose
V'è un senso di speranza e di paura.
V.
. . . . .
Rose appassite cui non rise il sole,
Vergini morte senza udir parole

Dolci al cor mesto lungamente attese--
Bellezze altere cui mentì la
vita,
Cui già sfiorò la guancia impallidita
L'ala del tempo che
volando offese,
Malati ingegni che non ebber lena
E che al salir del monte giunti
appena
Caddero stanchi in vista della meta.
Amanti orbati dalla
fredda morte,
Spirti legati da dure ritorte,
Voi cui miseria ogni
desire vieta,
O passeggieri per la vita vuota,
Poeti oscuri! A voi sale la nota
Del
canto arcano che il mister susurra,
Ed in voi soli sta l'eterno tema

Che--protesta fatal, vago poema--
S'erge alla sorda vasta vôlta
azzurra.
Voi tutti unisce un vincolo fraterno,
Intirizziti dallo stesso inverno

Che congela nel cor gl'impeti veri,
E fra tutti un dì voi riconoscete,

Mesti assetati dalla stessa sete,
Compagni di desiri e di pensieri.

Piangete tutti qualche spento amore
La cui memoria è com'eco che
muore,
O qualche ingenua aspirazion che fugge;
Voi nell'esilio
d'una vita immota
Pensate sempre ad una patria ignota,
Non mai
veduta, ma che il cor vi strugge.
E quei cui schiavo nella casa stretta
La via che fugge all'orizzonte
alletta,
Forse deluso tornerìa dal polo
Se potesse partir--e intanto
soffre
Di non saper carpir quello che s'offre
Istante d'oro ove si
piglia il volo.
Invan correte il mondo e la ventura
Cercando nel mutar della natura

Un pascolo allo spirto irrequieto.
Fuggite sempre da voi stessi
invano,
E qual le stelle che dal ciel lontano
La stessa luce mandano
sul lieto
O triste suolo, indifferenti e belle,
Così nel cor--simili all'alte stelle--

Gli stessi sensi in region remote
V'agitan sempre, e come al
firmamento
L'Orsa si mostra e la luna d'argento,
Stanno nell'alma
vostre brame immote.
Vittime tutti d'uno stesso inganno,
Nell'imo vostro cor chiuso è
l'affanno
Che la parola invan cerca ridire,
E s'ode solo qualche
flebil suono.
Incompreso dai più, mentre che un tuono
Sublime
dorme nelle vostre lire.
VI.
PRESENTIMENTO
La candida fanciulla ha sedici anni
E non provò nè duolo ancor, nè
gioia;
Ignora i gaudi tristi e i dolci affanni
E il disperar per fieri
disinganni,
Quando sembra che il cor nel petto muoia.
Sciolti e cadenti i suoi capelli biondi
Sul roseo volto dai grandi occhi

puri,
Allor che, o sole, i vasti campi inondi,
Ella si siede sotto l'alte
frondi
Nei recessi al meriggio ancora oscuri.
Sulla sua via ell'ha ben lievi impronte,
Il suo passato ancora non le
pesa,
Niun periglio
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