Le nostalgie | Page 6

Luigi Gualdo
ella scorge all'orizzonte,
Le tempeste ella ignora,
i mali e l'onte,
E non sa nè il rimpianto nè l'attesa.
La terra è allegra sotto al firmamento,
È puro il giorno come il suo
bel viso,
Par che tutto il creato sia contento,
Cantan gli augelli
mentre tace il vento,
La terra rende al cielo il suo sorriso.
Fiutano i bovi l'aura profumata,
Ronzan tra i rami mille alati insetti;

La pianura serena, illuminata,
Vive una vita intensa e più beata,
Fremono già i misterïosi affetti.
E allora in mezzo a quella pace lieta;
Sotto la vasta celestiale vôlta,

Lei che improvviso ignota speme asseta,
In tra la gioia cósmica e
segreta
Si sente triste per la prima volta.
VII.
NEL PARCO
Nel mistero del crepuscolo
S'addormìa la villa e il parco.
Io
sognavo ai tempi rosei,
E la speme moribonda
Cui ravviva la
profonda
Solitudine degli alberi
Al mio cor trovava un varco.
S'era spento allor l'incendio
Del tramonto all'orizzonte
Nelle tinte

d'oro e porpora,
Celestiale ed uniforme
Luce blanda sulle forme

Si spandeva e nello spazio
Cancellando l'altre impronte.
Cancellando ogni vestigio
Doloroso delle lotte
Che la vita sempre
genera,
Sul color troppo vivace
Distendendo la sua pace,
E
annunciandone già prossima
L'aura sacra della notte.
Si sentìa l'epitalamio
Ineffabil della sera,
V'eran soffii e note
languide
Che turbavano la mente,
E facevan che le spente
Rose
antiche rifiorissero
In ogni anima più nera.
VIII.
SEMPER ET UBIQUE
L'amour pleure en tout temps et triomphe en tout lieu.
VICTOR HUGO
A GIOVANNI CAMERANA
*
A me, stupito, apparve un giovinetto
Coronato di rose il crin ricciuto.

Mi sorrise e guardò, ma stette muto
Al mio cospetto.
Pareva, fatto ver, sogno d'artista
Da ingelosir Pigmalïone o Apelle;

E gli occhi suoi parean due nere stelle
Senz'ombra trista.
Pieno d'incanto era il suo bel sorriso,
Fatte pei baci le sue labbra rosse,

Armonïose le leggiadre mosse,
Fulgido il viso.

La sua tunica bianca a liste aurate
Lasciava nude le marmoree braccia;

Sul volto suo non si vedeva traccia
D'ore passate.
Vuote le mani, senza flauto o lira,
Pur silente sembrava ch'ei cantasse

Con la presenza sua--e l'alme lasse
Togliesse all'ira,
Alle lotte, ai dolori, ai desìr vani
Con la purezza del sereno sguardo.

--E compresi ch'egli era a parlar tardo
Per gaudi arcani.
Ed ei lieto tacea. Ma alfine io lessi
--Interpretando l'occhio che
parlava
I segreti dell'alma allegra e schiava
Sul fronte impressi.
E diceva il suo sguardo: È senza inganni
La vita, e il cielo ognor ride
ai mortali!
Più non invidio ai cherubini l'ali:
Ho diciott'anni.
Il mondo è mio, il piano e la foresta;
I vezzosi giardini e i verdi colli

Già mi donaron tutti i fior che volli
Per farmi festa.
Mai non si stanca questo piede e varca
Il monte che conduce all'alta
mèta;
E non invidio alcun, prence o poeta,
Dotto o monarca.
Ed ignoro le voglie ambizïose,
Non mi curo d'imperio o di potenza,

Sprezzo i tesori, e d'oro so far senza

Perchè ho le rose.
Parlo tacendo e regno senza spada
E rinnegar la gioia mia non voglio,

Ma il segreto svelare dell'orgoglio
A ogni contrada:
Sono superbo perchè sono vinto
Dalla fragile man d'una fanciulla;

E mi tien quella man che si trastulla
Di fiori avvinto.
Ella è candida e bionda, alta e sottile
Nella maestà delle nascenti
forme,
Divine son de' brevi piedi l'orme
Sul suolo vile.
Lo sguardo suo celestïale è pieno
Di ricordi di cielo e di speranze,
E
le vïole acquistano fragranze
Sovra il suo seno.
E nel sentiero ombroso ed appartato,
Sotto le piante antiche ed
indulgenti,
Passiamo uniti lungi dalle genti
A lato a lato--
Ciò diceva il suo sguardo, e lo splendore
Crescea della pupilla e del
sorriso...
Aprì la bocca alfine, e d'improvviso
Mormorò: «Amore...»
0. *
Obliai questo sogno. I giorni grigi
Uniformi passavan senza eventi;

E stetti a lungo ascoltando i concenti
Del perenne tumulto di Parigi.
Vivevo assorto tra i rumori strani
Della vita febbrile affaccendata,


Dimenticando l'ora, il dì, la data,
Noncurante dell'oggi e del domani.
Era bel tempo--ed il cangiante smalto
Del ciel verdastro e grigio
verso sera
Facea parer tutta la folla nera
Che passava serrata
sull'«asfalto».
Un dì, seduto in mezzo al gran frastuono
Dell'ampia via su cui
l'ombra scendea,
Sognavo senza concretar l'idea
Mentre coi lumi
già cresceva il suono.
Sorgevan vaghe imagini riflesse
Dalla svariata scena a me davanti:

Studïavo la storia dei sembianti,
Le intere vite in un sol gesto
espresse.
E quella via era teatro e specchio.
Ma a un tratto si fissò la mia
attenzione
Sovra d'un uom che fra tante persone
Umil passava e
dispregiato: un vecchio.
La barba grigia avea lunga ed incolta,
E come giunto a qualche passo
estremo
Stanchissimo pareva e quasi scemo,
Qual chi non parla mai
e rado ascolta.
Smorte, scarne le guancie, incerto il passo,
A brandelli le vesti, e
tremolanti
Le magre mani, ei si fermò davanti
A noi, guardando
indifferente e lasso.
Lo spingeva la folla ed i monelli
Al cencioso beon davan la baia,
Si
scostava la dama e l'ambubaia,
L'insultavano i ricchi e i poverelli.
Ei non se ne accorgeva, e tra le rozze
Spinte d'ognun mangiava un po'
di pane,
Proprio sul passo delle cortigiane,
Tra il continuo rumor
delle carrozze.
Mi vide, mi fissò nel viso, e fosse
Ch'egli scorgesse in me pietà od
ingegno,
Si raddrizzò, guardò, cambiò contegno,
Sorrise
mestamente,
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