Le nostalgie | Page 3

Luigi Gualdo
cor cantar la primavera.
Stormir le foglie
Della speranza in tra i fior sboccianti,
E
avvicendarsi un'allegrezza altera
Alla mestizia dei primieri incanti.
Poichè nell'animo
Ei già presente le vicine lotte
Tra il ver crudele
ed i desiri affranti.
E spesso son le note sue interrotte,
Nè per l'irrompere
Dei singulti saprebbe una ragione...
Pur piange
spesso quando vien la notte,

Poi lo rinfranca ancor la visïone
Piena di gloria
D'un avvenir purissimo e ridente,
E sente che uscirà
dalla tenzone
Incoronato da una luce ardente
E con il premio,
Ignoto ancor, d'un bacio pien d'oblio,
Pien di
memorie celestiali spente.
Ma l'alma sua è mesta nel desìo
Indescrivibile,
Ed una ingenua pace ognor s'estolle
Involontaria dal
suo petto a Dio.
E nelle vene il sangue gli ribolle,
E qual da freccia
Ferito è dal desire indefinito
Della lontana sua
speranza folle.
Perchè gli diè natura il guardo ardito
Fatto al dominio,
Pur dolce sì che fino all'alma arriva?
E il
portamento libero e spedito,
La mano bianca del lavoro schiva,
Il volto pallido
Ed i bruni capelli inanellati,
La mente tanto
imaginosa e viva?
Perchè il suo spirto aspira ai grandi fati,
Alle battaglie,
All'avventure ed ai perigli strani,
Alle pene sublimi,
ai dì beati?
Contento ei già vorrìa morir domani
Purchè una pioggia
D'amor sentisse scender nel suo core,
E tener

fra le sue due bianche mani
Potesse nella calma che in amore
Segue la torbida
Divina ebrezza che fa l'uomo altero
E gli fa
rinnegare ogni dolore.
Oh! se trovasse in mezzo al suo sentiero
La mesta e giovane
Castellana sognata lungamente
Nelle malsane
gioie del pensiero,
Superba e di bellezza risplendente,
Ma resa languida
E impietosita da un accento vero,
Dal suo liuto o
da un sospiro ardente,
Ei non vorrìa parlar, ma l'occhio nero
A lei rivolgere
Saprìa soltanto, e col ginocchio al suolo
Offrirle
alfine il suo core sincero.
E tutto dirìa poi con voce lenta:
Il lungo attendere,
L'antica speme ed il suo giovin duolo,
E la
brama divina che il tormenta,
E della fantasia il mesto volo,
E il caldo irrompere
Dei desideri immensi e trionfanti
Dal cielo
giunti in amoroso stuolo:
E tra le varie note de' suoi canti
La dolce ed unica
Nota che torna sempre inesorata,
Fra l'acre
gaudio dei soppressi pianti
E il balsamo dell'alma innamorata,

E allor la fulgida
Dama un sol bacio gli porrìa sulli occhi
Ed ei con
l'alma lieta ed affannata
Il volto asconderìa nei suoi ginocchi.

Egli andrà in fondo al lungo suo sentiero
Senza trovare il dolce dì
sognato.
Ella all'oceano
Calmo o furente volgerà l'altero
Languido
sguardo interrogando il fato
Che non si può mai compiere.
Oh! chi può dir di questi amori, ignoti
L'uno all'altro qui in terra, il
compimento
Paradisiaco?
Oh! quando fiano i lor desiri immoti
E
in un confuso il duplice lamento
E l'ineffabil gaudio?
Quanti tramonti ancora e quante aurore,
Quanti voli da questo a quel
pianeta,
Oh! quanti secoli
Dovran fuggire pria che il dì d'amore

Sorga a riunire il giovane poeta
Alla sua dama pallida?
. . . . . . . . .
III.
STORIA DI MARE
Spuntava il dì sereno; non aleggiava vento
Sulla spiaggia che il flutto
batteva molle e lento,
Da breve ora soltanto s'era levato il sole.
La
pura aura marina, che spira fresca ed ole
Con un profumo amaro,
facea ondeggiar la tela
D'una tenda costrutta con una vecchia vela.

Non una voce. Solo come un punto in distanza
Qualche barca da
pesca che lentamente avanza.
Ma a un tratto dalla tenda una fanciulla

bionda,
Bella come la Venere che sorge in mezzo all'onda,
Uscì
qual visïone luminosa, inattesa.
Sulle spalle superbe la chioma avea
distesa,
Ed il vestito bianco svelava la bellezza
Delle sue forme pari
alle antiche in purezza.
I piedi sulla rena lasciavan delicata
Orma di
piante e dita che parevan di fata.
Con gli occhi color d'aria dalle
arcuate ciglia
Guarda la giovin scena a cui ella somiglia
Con una
espressione di gioia giovanile.
--O la freschezza lieta d'un bel giorno
d'aprile!
Per toccar le conchiglie s'abbassava talora,
Ed una ne
ammirava tutta rosea, e sonora.
Si soffermò un istante, gettò uno
sguardo intorno
All'orizzonte chiaro dove brillava il giorno,

Formando una visiera della sua aperta palma,
E poi ridente, piena
d'una letizia calma
Corse nel mar, siccome da alcun desir fatale

Attratta, e avviluppata da un fascino ideale.
--Poi le mancò il terreno
ed allungò le braccia,
Le aprì, le riallungò, seguendo una sua traccia,

E cominciò a nuotare con leggiadra baldanza.
Già nelle prime
mosse pervenne a una distanza
Incredibil dal lido--elegante e veloce.
Non si sarìa potuta richiamar con la voce.
Dritto davanti a lei, rapida
e risplendente
Ella fendeva i flutti, e ognor magistralmente

Alzandosi e abbassandosi nel variato suo corso,
Talvolta si voltava e
nuotando sul dorso
Guardava il vasto cielo, e sul fianco talvolta
Al
lido la dolcissima faccia tenea rivolta,
Giuocando e andando sempre,
come fosse rapita
Dai venti--e poi talora in estasi infinita
Parea
dormisse, chiusi gli occhi azzurri e belli,
Sparsi sul bianco viso i
biondi suoi capelli.
Quest'era dall'infanzia il solo suo piacere.
Sempre la si vedeva e per
giornate intere
Correre verso il largo. Preferiva il mattino,
L'ora in
cui è deserto il lido ed il cammino.
La conosceva appena un vecchio
marinaro.
Al bacio sol dell'onde fremea quel corpo ignaro.
Non
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