volar un asino. Se tu vuoi essere mia moglie, dal primo giorno ti fo donna e madonna di tutte le mie robbe, te le porrò in mano ché le maneggi a tuo modo. Beata te, se tu farai a mio modo!
ARMELLINA. Io vo' che tu facci a mio modo.
VIGNAROLO. Facciasi, se non al mio, al tuo modo: tutto torna in uno, purché non resti di fuora. Ma io vorrei una grazia da' cieli.
ARMELLINA. Ed io un'altra.
VIGNAROLO. Che vorresti?
ARMELLINA. E tu che vorresti?
VIGNAROLO. Il direi, ma temo che ti corrucci.
ARMELLINA. Non me corruccio: dillo.
VIGNAROLO. Dammi la fede.
ARMELLINA. Eccola.
VIGNAROLO. Oh che mano pienotta e grassotta!
ARMELLINA. Dimmi, che vorresti?
VIGNAROLO. Vorrei esser quel piston che pista nel tuo mortaio.
ARMELLINA. Ed io vorrei che, quando ho fatta la salsa, mi leccassi il mortaio. Ma vo' partirmi.
VIGNAROLO. S'è partita, la vitellaccia.
SCENA II.
PANDOLFO, VIGNAROLO.
PANDOLFO. (Quel furfante di Cricca ha preso tanta paura di quelle coltellate, che non vuole lasciar trasformarsi in Guglielmo in conto veruno: ho pensato al vignarolo, ma non ho per chi mandarlo a chiamare).
VIGNAROLO. Padrone, buon giorno!
PANDOLFO. O vignarolo, che mai giungesti a miglior tempo!
VIGNAROLO. ?Come cavallo magro ad erba fresca?.
PANDOLFO. Ho tanto bisogno di te che non ne ho avuto altrettanto in vita mia; e se tu vuoi servirmi, tu sarai la mia ed io la tua ventura.
VIGNAROLO. Eccomi per servirvi.
PANDOLFO. è giunto qui un astrologo che transforma gli uomini in altre persone. Se tu vuoi lasciarti transformare in un mio amico, ti lascio tre annate dell'affitto che mi rendi della tua villa.
VIGNAROLO. E se mi transformo in un'altra persona, che mi servirá quell'utile? lo farai a quello, non a me.
PANDOLFO. Tu non sarai transformato se non per ventiquattro ore, e poi ritornerai come prima.
VIGNAROLO. E chi m'assicura che torni come prima? ché transformandomi si perde la persona mia, non sarei piú in calendario e non restarebbe segnale al mondo che vi fosse stato. No no.
PANDOLFO. Non è peggio al mondo che avere a fare con animalacci come tu sei: ?se li preghi s'insuperbiscono, se li bastoneggi s'indurano?; non si sa come trattar con loro, razza grossolana! Farò seco come si fa con i cani: che, per fargli piacevoli e che faccino a modo de' padroni, non se li dá da mangiare e si pigliano con la fame.
VIGNAROLO. Almeno, se morirò di fame, morirò quel che sono; ma se mi trasformo, venerò in fumo, in vento.
PANDOLFO. Chi non cerca migliorare vive sempre misero e meschino, e non val per sé né per altri. Sai che differenza è fra un savio e uno ignorante?
VIGNAROLO. No.
PANDOLFO. Che il savio mangia bene, beve meglio, ben vestito e sempre a spasso; l'ignorante, sempre scalzo, nudo e morto di fame e di sete, e sempre stenta e fatica: perché il savio conosce l'occasione di far robba, si mette a pericolo una volta per non stentar sempre; l'ignorante non si cura dell'utile né si provede. ?Tu hai poco senno e manco ventura?: se tu saprai conoscerla, felice te! Chi recusa la sua ventura è sventurato.
VIGNAROLO. Padrone, né mi muovono le tue lusinghe né mi spaventano le tue minacce: il diventare un altro è una specie di morire, e col morire non ci sto bene. Io farei capitomboli per amor vostro.
PANDOLFO. Deh, che ti venga il mal francese!
VIGNAROLO. Non ho paura che mi venga.
PANDOLFO. Perché?
VIGNAROLO. Mi è venuto gran tempo fa e ne sto in possessione.
PANDOLFO. Se lo hai, che ti mangi e spolpi insin alle ossa, sciagurato che sei! ché se il pan che mangi conoscesse da chi è mangiato, piangeria quando è sotto i tuoi denti. Ti ho detto che tu non ti moverai da quel che sei, che si trasformerá il volto solo per ventiquattro ore: poi lascierai quel volto preso e tornerai nel tuo di prima. Fa' conto che andarai in maschera per un giorno, proprio come se dormissi e in sogno ti paresse esser Guglielmo, e risvegliandoti la mattina ti trovi quel vignarolo ch'eri prima. Ma che diavolo te ne può avvenire per questo?
VIGNAROLO. Io togliendo quella somiglianza e ingannando la casa di Guglielmo, son io che l'inganno o no?
PANDOLFO. Non tu ma quella somiglianza.
VIGNAROLO. E quella somiglianza ed io non siamo tutti una cosa?
PANDOLFO. No, ché tu mai sarai Guglielmo né Guglielmo te; ma restará ingannato chi si crede che tu sia Guglielmo.
VIGNAROLO. Io pensava che bisognasse disfarmi e risolvere la carne e l'ossa, e poi impastarmi di nuovo e buttarmi a cola dentro le forme di Guglielmo per transformarmi in lui.
PANDOLFO. Non tante cose, no.
VIGNAROLO. Chi sa, forse mi ci accorderò. Ma come sarò transformato in Guglielmo, che ho da fare?
PANDOLFO. Entrarai in casa sua; e le genti stimaranno che tu sii il padrone, ti ubidiranno: disporrai di Artemisia sua figliuola, che mi sia moglie.
VIGNAROLO. Or questo non è un mezzo ruffianesimo? perderò l'onore.
PANDOLFO. Abbi danari, ché l'onore poco importa.
VIGNAROLO. Un cuor mi
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