Le commedie - lo astrologo | Page 6

Giambattista Della Porta
tamburo. Astrologo, me vobis commendo.
ALBUMAZAR. Abbiate pazienza: cosí comanda quel pianeta di cui voi sète preda.
PANDOLFO. Misericordia, pietá di me!
ALBUMAZAR. Sappi che le stelle e i pianeti sempre guerreggiano fra loro e fanno amicizie e inimicizie, e se stessero in pace per un momento, il mondo ruinarebbe. E come noi potremo opporci al cielo che non disponga delle cose mondane?
PANDOLFO. Voi con la vostra sapienza....
ALBUMAZAR. Bene dixisti, ché il sapientissimo Tolomeo egiziano disse: ?Sapiens dominabitur astris?.--Gramigna, calami giú quel cappello e talari di Mercurio, fatti sotto ponto di Mercurio ascendente nel suo segno.
PANDOLFO. Io non mi partirò tutto oggi da' vostri piedi.
ALBUMAZAR. Eccolo, ponetelo in testa, e tenete in mano questa imagine marziale, impressa quando egli felicissimo ascendeva su l'orizonte nel segno d'Ariete di marzo, di martedi, all'ora prima di Marte, ché vi fará libero d'ogni male.
PANDOLFO. Accetto volentieri la grazia che mi fate.
ALBUMAZAR. Orsú, andate, abbiate l'uomo che volete transformare e tornate a me, ché vi renderò pago d'ogni vostro desio.
PANDOLFO. Cosí facciamo.
ALBUMAZAR. Io intanto col mio stromento iscioterico per via d'azimut e almicantarat cercherò felici ponti per voi.
PANDOLFO. Restate in pace!
ALBUMAZAR. Andate: che le stelle vi siano propizie e vi riempiano la casa d'influssi benigni, propizi e fortunati!

SCENA VI.
PANDOLFO, CRICCA.
PANDOLFO. Cricca, in somma l'astrologia è una grande arte: mira come subito in vedermi m'indovinò quanto mi stava nel cuore, e come intese quanto dicevi poco innanzi e lo burlavi e non gli volevi credere. Ecco ne hai patito la penitenza, e tristo te se non lo pregavo per la tua vita.
CRICCA. Veramente non pensava che fosse astrologo da vero: lo stimava qualche razza di furfante, come se ne trovano tanti che si vantano d'esser astrologhi e ingannano la vil plebe.
PANDOLFO. Beato te che sei uscito di periglio, ché a me par che d'ora in ora mi cada il mondo in testa! Per tutto oggi non farò questione. Se alcuno mi dirá:--Sei un furfante,--dirò:--Son un furfante e mezzo.--Che importa quella parola? bisogna vivere e fare li fatti suoi.
CRICCA. Andiancene presto a casa.
PANDOLFO. Vorrei aver un campanil in testa per stare piú sicuro. Oh oh, son morto!
CRICCA. O povero padrone, per parecchi giorni non avrai pedochi in testa, ché tutti saranno pesti o fuggiti per la paura!
PANDOLFO. Dubito che il mio cervello non sia balzato un miglio fuor della testa.
CRICCA. Ancorché paia cosí a te, spero che non sia nulla se il medesimo intervenne a me.
PANDOLFO. Oimè! che non mi assicuro d'alzarmi.
CRICCA. Alzatevi, ché vi ha difeso la celata fatta a ponti di stelle.
PANDOLFO. Parmi che non abbia male, o salamonissimo arcidottore. Li suoi pronostichi mi hanno tanto inanimito che m'assicuro d'ogni cosa che mi promette.
CRICCA. Andiamo.

ATTO II

SCENA I.
VIGNAROLO, ARMELLINA serva.
VIGNAROLO. (Sia maladetto Amore e quella puttana che l'ha cacato! Prima non conosceva altro pensiero che star alla villa; e doppo che mi sono innamorato bestialmente, mi par che in villa sia sempre inverno, e la primavera fuggirsi alla cittá per starsi con la mia Armellina. Son risoluto narrarle l'amor mio e richiederla, ché alle donne bisogna dir qualche parola, poi lasciar fare al diavolo che sempre lavora. Ma eccola su l'uscio: vorrei parlarle, ma mi vien l'animo meno: vo' far buon core e salutarla). Vi saluto centomila migliaia di volte, Vostra Signoria illustrissima, Vostra Altezza, Vostra Maestá.
ARMELLINA. Oh, quanti titoli! vignarolo.
VIGNAROLO. Non sète voi la mia signora, la mia regina e la mia imperadora?
ARMELLINA. Che cosa mi porti, vignarolo?
VIGNAROLO. Rispondi al saluto prima, poi mi chiedi che porto.
ARMELLINA. Rispondi tu prima a me: se dici che son la tua imperadora, ti posso comandare.
VIGNAROLO. Porto il presente, mezzo al patrone e mezzo a te; e se ti piace tutto, piglialo tutto.
ARMELLINA. Mi raccomando.
VIGNAROLO. Fermati un poco, ché son venuto a posta dalla villa per vederti...
ARMELLINA. E mò non m'hai veduta?
VIGNAROLO. ... e parlarti ancora.
ARMELLINA. E mò non m'hai parlato?
VIGNAROLO. Lasciami parlare.
ARMELLINA. E mò che fai?
VIGNAROLO. Ragiono pur, ma vorrei....
ARMELLINA. Che vorresti?
VIGNAROLO. Sí sí, sai che vorrei? che mi volessi bene.
ARMELLINA. Io per me non ti vo' male.
VIGNAROLO. So ben che non mi vuoi male: pur non mi vuoi bene.
ARMELLINA. Che vorresti dunque che facessi?
VIGNAROLO. T?rmi per marito.
ARMELLINA. Son poverella, non ho dote da darti.
VIGNAROLO. Mi basta la grandezza de' tuoi costumi e della tua natura.
ARMELLINA. Non vo' che alcuno mi pigli: vuo' stare come sto.
VIGNAROLO. Se vuoi stare come stai, diventarai salvatica.
ARMELLINA. Come?
VIGNAROLO. La vite come sta sola cade in terra e s'insalvatichisce: la donna è la vite, l'uomo è il palo; se non ha il palo dove s'appoggia, sta male.
ARMELLINA. Impalato possi esser tu da' turchi!
VIGNAROLO. Ah, traditora, perché mi maledici?
ARMELLINA. Burlo cosí con te.
VIGNAROLO. Ed io me lo prendo da dovero. Io non amo al mondo altri che te. Tutto il giorno piango e mi tormento, e per chi, ah? per te, lupa, cagna che ti mangi il mio cuore; e tanto potrei star senza amarti quanto far
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