Le Amanti | Page 7

Matilde Serao
dove indirizzare il telegramma; non seppe che cosa dire, si
sentiva così irritata e umiliata, con sè stessa, col caso, che lacerò i fogli,
senza riescire. Alla fine, mettendo l'indirizzo della stazione di Roma gli
telegrafò, così confusamente, che le riesciva impossibile partire prima
delle dieci e quarantacinque, senza aggiungere le ragioni di questo
impossibile e soggiunse, umilmente: perdonami. Lo soggiunse, poichè
non potea resistere all'idea del dolore di lui, Ferrante, non vedendola
giungere alla stazione di Roma, trovando un telegramma invece della
sua persona. Oh quelle sette ore di attesa! La pallida signora, vestita di
un grande mantello bruno, tutta chiusa in un grande velo di garza bruna,
snella e flessuosa nella persona, dall'andatura un po' lenta, un po' stanca,
fu vista da per tutto, ripetutamente, nella stazione, per quel pomeriggio
e per quella sera. Innanzi alle lunghe vetrine del libraio e nella sala
gelida dei bagagli, camminando, fermandosi, sfogliando distrattamente
un libro, aprendo un giornale illustrato; di nuovo alla sala del telegrafo,
donde telegrafò a Sorrento, a due o tre persone che non la interessavano
punto; verso le sette nella sala del buffet, dove prese un brodo e una
tazza di caffè, malgrado che non avesse fame, seguendo con l'occhio
distratto i multicolori avvisi della _macchina Singer, della Coca Buton
e della ferrovia lombarda ai Tre laghi_; fu vista finanche fuori stazione,
passeggiare in giù e in su, facendo voltare tutti quelli che la
incontravano, mentre essa guardava, certo senza vederli, il malinconico
giardinetto della piazza, e le carrozze da nolo disposte intorno come i
raggi di un cerchio, e le insegne dondolanti degli equivoci alberghi dal
fanale verde o rosso; e da capo, come se ella non potesse stare ferma, fu
incontrata al telegrafo, alla posta, nei terreni incolti della Piccola
Velocità, presso il venditore di libri e di giornali, su e giù, su e giù per
tutte le gallerie. Questo irrequieto fantasma muliebre vide empirsi e
vuotarsi le sale di aspetto dei viaggiatori che partivano successivamente
per le linee di Salerno, di Castellammare, di Foggia, di Aquila: vide
fermarsi e andarsene i treni carichi di uomini, di donne, di borghesi e di
contadini, che se ne andavano ai loro affari, al loro lavoro, alle loro
cure. E nella ultima ora di attesa la invase una stanchezza profonda;
rincantucciata in un angolo della sala di aspetto, silenziosa, immobile,
col sacchetto sulle ginocchia, ella guardava le ondeggianti fiammelle

del gas che il vento della sera agitava, e fu il guardiano della sala che
l'avvertì della partenza--tanto in lei si era fatta la convinzione che era
inutile più partire, che Ferrante non l'amava più, che tutto era finito.
Tutta la notte del viaggio, lunga, lenta, con le sue numerose, monotone
fermate, ella la passò in una veglia dolorosa alternata da qualche
torpore doloroso, tutta sola nel suo compartimento, tremando di freddo
malgrado le coperte e le pelliccie. L'alba si levò sulla severa campagna
romana; donna Grazia dormiva, ora, pallida pallida, e solo i tre lunghi,
striduli fischi del treno che entrava in Roma la riscossero. Le parve di
uscire da un sogno triste: il sole illuminava le prime case di Roma, e la
nebbia romana, e il fumo del treno, una felicità di calore e di luce
l'avvolse, scendendo dal vagone, poggiando la sua mano sottile
guantata sempre di nero in quella tremante di Ferrante. Si guardarono,
così, lungamente, fra la folla, tenendosi per mano, camminando quasi
portati.
--Sei venuta, poi....--mormorò lui, cercando di dominare la propria
emozione, intensa, soffocante.
--Credevi che non venissi più?--chiese lei, con uno sguardo scrutatore,
fermandosi un minuto.
--Sì, l'ho creduto--soggiunse lui, chinando gli occhi, confessando con
quelle parole tutte le angoscie della sua serata e della sua nottata.
--Mi perdoni?--domandò lei, umilmente, dolorosamente, sentendo bene
che fra loro era già sorto e consumato il primo dolore.
--Non dir così: tu ti puoi dare e ti puoi ritogliere--disse fermamente lui,
guardando altrove, per non far vedere che sforzo questa fermezza gli
costava.
Essa non rispose. Poteva dirgli che il proprio ritardo non era stata una
crudele esitazione, l'idea novamente feroce di spezzare quell'amore:
poteva semplicemente dirgli che era stata la perdita di cinque minuti,
per annodare il velo del cappello, o per prendere il taccuino dimenticato
e che quindi ella aveva perduto il treno. Le parve, questa ingenua
narrazione, così ridicola, così volgare, che non osò farla; e lasciò, per

viltà, che perdurasse quell'amaro malinteso, quel senso triste di sfiducia
che era nato nell'animo di Ferrante.
Adesso, col facchino dietro, erano in piazza della stazione.
--Dove andiamo?--ella chiese.
--Non so....--rispose Ferrante, incerto.--Avremmo dovuto partire ieri
sera. Stanotte, io non sono rientrato in casa mia, ero così turbato....
--Quando parte, il prossimo treno, per Firenze?--diss'ella, brevemente.
--Alle dieci e mezzo, fra tre ore.
--Tre ore, tre ore....--mormorò Grazia, come pensando.
--Vuoi che ti accompagni a casa mia....
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