Le Amanti | Page 8

Matilde Serao
non vi è nessuno.... o in
albergo?--E il verbo accompagnare era stato molto sottolineato.
--No, no, a casa tua--rispose subito Grazia, con una paura nella voce.
--Allora, in albergo?--soggiunse lui, pazientemente.
--.... Sì,... ma senza entrare in Roma--e abbassò gli occhi, come
vergognandosi.
--Vi è il Continentale qui dietro, in Piazza Margherita, non ti stancherai
molto.
Seguìti dal facchino che portava le loro robe, vi andarono; sottovoce
come se indovinasse le intenzioni di Grazia, Ferrante chiese due stanze
al segretario dell'albergo; sottovoce costui gli domandò se le voleva
vicine, e Ferrante gli disse subito che non importava. Grazia saliva
innanzi, chinando il capo; alla porta della sua stanza, il segretario li
salutò. Ella restò ferma, guardando Ferrante, con la mano appoggiata
sulla maniglia della porta.
--Rammentati, è alle dieci e mezzo: verrò a prenderti alle dieci--disse
Ferrante, gelidamente.

Le fece un saluto corretto e si allontanò subito.

II.
Ella entrò nella sua stanza e vi si chiuse, buttandosi pesantemente sopra
una poltrona: si sentiva morire di tristezza, sentiva di essere disamorata,
crudele con Ferrante, eppure non trovava ancora uno slancio di
tenerezza, un impeto di passione per fargli dimenticare tutte quelle noie,
quelle punture, quei disinganni, quelle amarezze. Ma tanta gente era
loro intorno, dovunque, alla stazione, in piazza, nell'albergo, gente
estranea, è vero, ma curiosa, dall'orecchio teso, dallo sguardo acuto!
Ella si era chiusa nella sua stanzetta, stanzetta piccola, linda, ma banale
come tutte le stanze di albergo, ma fredda con tutto il lieto sole
autunnale che vi entrava; Grazia si era chiusa lì dentro, e un profondo
pentimento le veniva in cuore, pel modo come aveva trattato Ferrante;
la propria ingiustizia verso quel forte e docile amante che nulla
chiedeva, che non si lagnava, che cercava di allontanarsi, di ecclissarsi
sempre, onestamente, correttamente, mentre nell'anima gli ardeva la
grande fiamma, questa propria ingiustizia, le faceva orrore, le sembrava
un egoismo mostruoso, la crudeltà di una donna glaciale che pospone
sempre il mondo all'amore. Rivoltata contro sè stessa, si levò per
chiamare, per far avvertire Ferrante di venire da lei: voleva buttarglisi
alle ginocchia per farsi perdonare, poichè egli solo era buono e giusto.
Ma mentre era lì per premere il campanello elettrico, udì parlare
sommessamente, nella stanza attigua. Si fermò: non era sola dunque,
malgrado che si fosse chiusa a chiave? Aveva dei vicini, a destra e a
sinistra, forse da tutte le parti, che, come ella udiva la loro, avrebbero
udita la voce di Ferrante e la sua, parlando d'amore? Oh questi alberghi,
che realtà, che realtà meschina, sconfortante, nauseante! Tornò alla
poltrona, vi si sedette, senza far rumore, aspettando che le voci
cessassero; forse i vicini sarebbero usciti, partiti: allora ella avrebbe
chiamato Ferrante, per farsi perdonare. Ma le voci dopo qualche
intervallo di silenzio, brevissima pausa, si udivano di nuovo: erano
quelle di un uomo e di una donna, che discutevano pacatamente; si
afferrava ogni tanto una parola, facevano il conto del loro viaggio. Ella
fremeva, si agitava sulla poltrona, sperando sempre, a ogni momento di

silenzio, che i vicini se ne fossero andati: ma quietamente essi
ricominciavano a chiacchierare, con un'intonazione monotona, senza
stancarsi. Per un momento Grazia si turò le orecchie quasi piangendo,
al colmo di un urto nervoso che le poche ore di cattivo riposo del treno
non avevano calmato: malediceva questi vicini che le rubavano quelle
altre ore di felicità. Andò ad aprire la finestra della stanzetta, per
sottrarsi a quell'incubo: il sole allietava tutto il piazzale della stazione,
la giornata era dolce e bella, Grazia, stette guardando come un fanciullo
che un nulla distrae, le persone che passavano sulla piazza. Così assorta,
non udì che la seconda volta, quando bussarono alla sua porta. Era
Ferrante: ma non entrò, rispettosamente.
--Andiamo?--diss'ella sorridendogli.
--Sì--disse lui, sentendo e vedendo la luce di quel sorriso, per la prima
volta.
Ella mise il suo braccio sotto quello di lui: si appoggiava lievemente.
Non potea dirgli nulla: ma vi era nei suoi occhi, nella sottile mano
guantata, in ogni movimento della persona tanta femminile tenerezza,
una così affettuosa domanda di perdono che egli dovette intenderla, in
tutta la sua manifestazione: due volte, per le scale in penombra, si
fermò a guardare il volto della sua donna, quasi volesse imprimersi nel
cuore quella espressione così viva. Chi li vide passare di nuovo, sulla
piazza, per la stazione, andando a mettersi nel vagone, in quella bionda
mattinata di autunno, intese, certamente, che passava sul capo di quei
due felici una silenziosa ora celestiale. Di quanto intorno ad essi
avveniva, quei due più non sapevano: una macchinale coscienza,
memore di altri viaggi, di altre partenze li guidava nella loro vita
esteriore: una coscienza meccanica che si chetò, anch'essa, quando il
treno fu partito da Roma. Erano soli. Una parte delle tendine color di
legno erano tirate, contro il sole che
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