Le Amanti | Page 6

Matilde Serao
nel caminetto le lettere avvampavano allegramente.
Così, nell'alba bigia in cui donna Grazia partì da Sorrento per Napoli,
mentre aveva detto ai suoi amici che sarebbe partita solamente la sera,
in quell'alba bigia, la sua devota cameriera, vedendola andar via,
avvolta nel grande mantello bruno, avvolta nel bruno velo che le
circondava il capo, il viso, il collo, si chinò, commossa, a baciarle la
mano:

--Io la rivedrò, nevvero?--chiese, cercando di trattenere le lacrime.
--Forse--disse donna Grazia, andandosene, senza voltarsi.
Tanto la fatalità li aveva vinti, ambedue.
Donna Grazia non vedeva nè il mite sole che rallegrava le vie di Napoli,
nè le azzurrità fini del cielo e del mare, nè la folla lieta che si godeva
quel giorno soave: chiusa nella carrozza da nolo, guardando ogni
istante il piccolo orologio sospeso alla cintura pur senza vederne l'ora,
ella divorava lo spazio con la mente, cercava di ripetere per la
millesima volta il calcolo del tempo e dello spazio, per chetare la
propria impazienza. Sarebbe partita da Napoli per Roma alle due e
cinquantacinque, col treno più celere, tutta sola nel suo compartimento;
sarebbe giunta a Roma alle otte e trentacinque della sera; alla stazione
avrebbe ritrovato Ferrante e dopo un'ora e mezzo, in cui non sarebbero
neppure entrati in Roma, sarebbero ripartiti, via Firenze e Bologna, per
Venezia, insieme. Insieme! Pensando, ripensando, pronunciando
sottovoce questa parola, ella vedeva scomparire l'ora, il tempo, lo
spazio tutto, una nebbia le scendeva sugli occhi, una lieve vertigine le
confondeva ogni moto. Insieme! Fu macchinalmente che pagò il
cocchiere, scendendo alla partenza, nella stazione, stringendo fra le
mani il sacchetto dove erano i suoi valori più preziosi. La grande
galleria coperta dove si prendono i biglietti era quasi vuota. Ella non vi
badò.
--Di prima, per Roma--disse, affannando un po' al bigliettinaio.
--Ecco--fece quello--ma si affretti, perchè il treno parte.
Improvvisamente, presa da una orribile paura, ella si mise a correre,
vedendo appena la sua strada, urtando le persone, lasciando appena il
tempo alla guardia di tagliare il biglietto, arrivando sul terrapieno,
appena a tempo per vedere il treno delle due e cinquantacinque
allontanarsi lentamente. Ella tese le braccia e gridò, come se avesse
potuto fermarlo. Un facchino sorrise; mentre gli impiegati della
stazione, raccolti in gruppo, la guardavano con curiosità. Alla paura ella
sentì subentrare una grande angoscia e una grande vergogna: rientrò

nella sala di aspetto, deserta, si andò a buttare in un cantuccio,
stringendo le labbra per non singhiozzare dietro il velo, stringendo
nelle mani nervose, convulsamente, il manico di cuoio della borsetta.
Perdere il treno, che miseria, che disgrazia ridicola, che tragedia buffa!
Le pareva un'avventura così sciocca, così volgare che non sembrava
possibile fosse capitata proprio a lei, nel momento supremo in cui si
decideva la crisi del suo amore; era fremente di sdegno e di onta. Tanta
forza di volontà, tanto impeto vincitore, tanto magnetismo trionfante di
amore, tanta elettricità condensata... e farsi buttare a terra da un
orologio che non va, o da un cocchiere che non ha saputo sferzare il suo
cavallo. Avrebbe pianto di collera. Vediamo, quale era la piccola,
meschina causa, la causa stupida per cui tutto l'edifizio era crollato? E
cercava, invano, di ricordarsi: se era stata la propria lentezza
nell'annodarsi il velo in casa sua, a Napoli, nel suo appartamento
solitario; o l'esser tornata indietro, un momento, per aver dimenticato
un taccuino da cui non si separava mai; o il non aver trovato
immediatamente la carrozza da nolo; o perchè il cocchiere avea
prescelto la stretta, difficoltosa e ingombra via di Forcella alla via della
Marina, per andare alla stazione. Chi lo sa! Si trattava di cinque minuti,
di soli cinque minuti, cinque piccolissimi, cortissimi, brevissimi minuti,
che si perdono così naturalmente, così facilmente un po' qui, un po' là,
senza saper come: e la loro perdita, poi, equivale alla rovina di tutto un
sogno!
Fu solamente dopo un'ora di riflessioni amarissime, che ella sentì un
soffio di rassegnazione penetrarle nel cuore: ma pur essendosi calmata,
un'amaritudine gliene rimase. Si levò, risolutamente: andò a leggere
l'orario, sulla parete stuccata di bianco. Avrebbe potuto partire soltanto
la sera, alle dieci e quarantacinque. Circa sette ore di attesa! Pure, non
ebbe il coraggio di rientrare in città, a Napoli; le sarebbe parsa una
rinunzia completa. Avrebbe aspettato nella stazione. Non l'avrebbero
mandata via, da quella sala d'aspetto? Non aveva mai viaggiato sola:
non sapeva niente. Il guardiano le si accostò, guardandola curiosamente.
Ella gli donò subito cinque lire: si sentì meno timorosa. Cercava di
ricostruire il suo piano. Bisognava, innanzi tutto, telegrafare a
Ferrante--e tal pensiero la faceva arrossire, pensava che avrebbe egli
detto, trovandola così sciocca, così distratta da perdere il treno. Che

dirà, che dirà?--si andava domandando, mentre girava intorno alla
stazione, senza ritrovare l'ufficio telegrafico. Alla fine lo trovò. E allora
non seppe
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