Le Amanti | Page 5

Matilde Serao
portava il suo vagabondaggio serotino a uno dei
teatri, bastava che dietro alla nuca bionda di una donna, in un palchetto,
si profilasse il volto di un uomo innamorato perchè egli si sentisse, a un
tratto, immerso in una disperazione inguaribile. Allora, lontani, divisi,
si tendevano le braccia come creature anelanti, che sanno un posto solo
dove appoggiare il capo stanco: ed è questo il petto della persona che
adorano, assente, lontana.
E allora, confusamente, nella crisi fatale di questa passione, si venne
delineando un piano di amore, imperfetto, vago, ma che conduceva a
un sol desiderio: quello di rivedersi, di stare insieme, lungamente, per
sempre. Ognuno di loro, invece di perdere la propria forza in vani
conati di dolore, avrebbe cercato di adoperarla a vincere tutti gli
ostacoli morali e materiali per potersi riunire, fra quindici, fra otto
giorni, in un paese solitario, tranquillo, in un ambiente di poesia e
d'amore, dove potessero passare sconosciuti o indifferenti alla folla, o
ravvolti in una comune indulgenza. Chi di loro due disse la parola:
Venezia? Chissà! Fu così, naturalmente, che i loro cuori si fermarono
su quel mite orizzonte di arte e di quiete, su quell'ambiente di case mute
e sommerse nel languore che la morte precede, su quella città dove
l'amore pare abbia la sua naturale atmosfera di pensiero, di lirica umana.
Venezia, Venezia! Fu il nome amabile, seducente, che videro brillare
ogni giorno, ogni ora; innanzi alla loro immaginazione; parola magica
che fece scomparire tutte le altre; sillabe ravvolgenti e incantatrici da
cui le loro anime prese, legate, non si potettero svincolare mai più. E
man mano le loro lettere andarono perdendo tutto quel carattere

d'indefinito, tutta quella vaghezza di contorni, quel continuo agitarsi
errabondo dello spirito, quella incoerenza di anime deliranti: la
passione addossata al muro della realtà, era entrata in un periodo
positivo, pratico, preciso. Ogni giorno, sotto la volontà inflessibile,
sotto la doppia inflessibile volontà, il loro piano acquistava linea,
colore, cifra; il suo aspetto di fatto si veniva così minutamente facendo
reale, che, già quasi quasi, per Grazia e per Ferrante, parea di vivere in
quella realtà. Accanto a questi particolari definiti, matematici, dove la
loro insofferenza si appagava, come per il fatto compiuto, ogni tanto,
ma sempre più scarsamente, si veniva allogando qualche scoppio
improvviso di frase amorosa: oppure una parola soltanto: Venezia.
Anche l'aspetto degli amanti era mutato. Si eran fatti, nell'esteriore,
freddi, risoluti, distratti in un pensiero o in un'azione, sempre occupati
in qualche cosa, schivando, con la freddezza, la folla degli estranei e
anche quella degli amici. Parlavan poco, brevemente. Non più le belle
passeggiate della penisola sorrentina vedevano comparire il bruno volto
pensoso di donna Grazia: ma in una stanza accanto alla sua erano aperti
tutti i bauli, tutte le valigie della casa e la cameriera, che le voleva bene,
ignorava ancora la destinazione che prendeva la sua signora. Ella
vedeva che ogni giorno donna Grazia veniva chiudendo, in quei bauli e
quelle valigie, tutto quanto aveva di prezioso come valore e come
ricordo: ella vedeva che donna Grazia si aggirava per la casa, in
vestaglia di lana bianca stretta alla cintura da un mistico cordone di seta
nera, guardandosi intorno come trasognata, considerando le pareti
vuote e i cassetti aperti, come se volesse portare via ancora qualche
cosa.
--La signora parte per un lungo viaggio?--chiese timidamente, un
giorno, la fanciulla devota.
--Lungo, lungo....--mormorò vagamente, donna Grazia.
--E io debbo venire?
--No.... Meglio che non veniate--soggiunse donna Grazia.
--Tutta sola, un lungo viaggio?--osò chiedere ancora la ragazza.

Donna Grazia chinò il capo e non rispose: un velo di tristezza le passò
sulla faccia. Tacquero.
E Ferrante, come il giorno della partenza si approssimava, non andava
più nei soliti ritrovi di Roma autunnale: male o bene, ma con una
febbre di uomo preoccupato, aveva cercato di risolvere alcuni affari
stringenti, assorbito, distratto, accettando qualunque peggiore
risoluzione, purchè fosse immediata. Quando i suoi intimi lo vedevano
ricomparire, per un momento, gli domandavano, sorpresi:
--Ma che fai, dunque?
--Parto--rispondeva lui, pensando ad altro.
--Dove vai?
Egli faceva un cenno vago, come di paese molto lontano. Per
discrezione, gli intimi non chiedevano altro: sapevano quale tragedia
morale avesse sconquassata la sua famiglia e molti supposero qualche
improvvisa, bizzarra decisione. Anzi, la voce ne corse, avvolta in veli
misteriosi. Una sera, un amico più affettuoso, più insistente, andò a
casa di lui: e lo trovò solo, fumando, con le finestre aperte, ma col
caminetto acceso dove buttava delle carte, dopo averle lette. Sul
tavolino vi erano altri pacchi di lettere, un grosso portafoglio di pelle,
tutto sdrucito, due o tre libri dalla legatura usata e un paio di minute
pistole nella loro scatola che pareva quella di un gioiello.
--Che fai, ti vuoi ammazzare?--domandò ridendo l'amico.
--Forse--rispose Ferrante, ridendo un poco, ma poco. Nè dissero altro,
mentre
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