Le Amanti | Page 4

Matilde Serao
annoiati, di notti vegliate, in una
rivoluzione del cuore e dei nervi. Ad ambedue, quando, per consolare
le ore di lontananza, essi evocavano quelle due giornate, appariva come
una grande fiamma lieta e alta e divorante; il ricordo era vasto,
immenso, vago, quale un oceano di fuoco, sopra cui qualche punta
appariva, come estremo albero di nave sommersa. Insistentemente egli
si rammentava il volto smorto di lei, quando ella si affacciò al vagone
fermato nella stazione di Monza e, malgrado ogni suo impeto di
evocazione, pur volendo fermamente rivederla col suo delicato e
profondo sorriso delle ore più felici, egli continuava ad avere innanzi
quella faccia pallida di donna morente. Egli cercava di rianimare tutti i
suoi ricordi, di quei due giorni, come ella era vestita, la foggia della sua
acconciatura, le parole che aveva dette, il tono della sua voce: ma una
sola sensazione, acuta, squisita, gli ritornava, con la persistenza di un
martello sull'incudine: il profumo che avevano i guanti morbidi di
Grazia e le mani sottili profumate. Quando le scriveva di quei giorni,
confusamente, egli ritornava sempre a dire di quella faccia pallida allo
sportello e di quelle mani odorose, di quei guanti così profumati "...che
è quel profumo, dimmi, dimmi, amore, perchè io l'ho confitto
nell'anima e ogni tanto mi fa piangere, come un fanciullo, perche il mio
amore è lontano e io non posso avere, sotto le mie labbra, le sue mani
inebrianti?..." Ed ella nella fiorita campagna sorrentina, quando i
villeggianti vicini, o i suoi ospiti, ritirandosi, l'avevano lasciata sola,
libera, ella voleva far riapparire fantasticamente quei due
indimenticabili giorni di oasi; ma armandosi con la stessa forza, con la
stessa intensità, lo stesso inesplicabile fenomeno psicologico avveniva
in lei ed ella non poteva che ricordare qualche scintilla della grande
fiamma. Fra un turbine roteante d'impressioni, rammentava soltanto,
Grazia, un sorriso enigmatico alla sua domanda: e tu, perchè mi ami? Sì,
egli aveva avuto un sorriso bizzarro, lungo, pieno di un segreto
profondo: ella rivedeva sempre innanzi agli occhi quel sorriso acuto,

crudele, che parea le nascondesse la verità, tormentosamente. E nelle
orecchie, nel cervello di Grazia restava una sensazione fissa, continua,
invincibile, il ricordo della sua voce, quando la chiamava
sommessamente, teneramente, dolorosamente, come se chiedesse
amore e soccorso, come se invocasse pietà: Grazia, Grazia, Grazia!...
Così identica era la loro passione nel carattere, nella profondità, nella
misura che il grande sogno da realizzare nacque nelle loro fantasie
esaltate, contemporaneamente, germogliando nello stesso pomeriggio
autunnale, nella stessa ora di disperazione, mentre erano lontani lontani,
per molte miglia. Ambedue furono colpiti dal medesimo, irresistibile
desiderio, contro cui nulla più poteva difenderli; ambedue arsero di tale
desiderio come se fosse il più alto, l'estremo delle loro anime.
L'immenso avvenire innanzi, alle loro esistenze ancora giovani, li
sgomentava con la sua solitudine arida, mentre essi portavano in cuore
di che riempirlo per sempre, di una strabocchevole felicità. Al punto in
cui la grande fiamma che li ardeva era giunta in entrambi, era loro
insopportabile vivere ancora, divisi, lontani, estranei: lo stesso cupo
dolore li abbatteva. La paura del mondo, delle sue ciarle, delle sue
calunnie veniva man mano scomparendo innanzi a questo bisogno di
amore, di felicità che è in fondo a tutti i temperamenti umani, più freddi
e più silenziosi, e che nell'ora della passione parla di una voce che nulla
fa tacere. Per chi si sacrificavano? In nome di quale principio, di quale
idea, di quale persona? Su quale altare sconosciuto deporre l'olocausto
della loro passione?
--Io non posso più soffrire, la mia vita finisce--scriveva Grazia.
--Io non posso più soffrire, il mio coraggio è esausto--scriveva
Ferrante.
In tale ardente impazienza, la loro sensibilità sentimentale raffinata dai
sogni, dalle insonnie, dalle lettere incoerenti, si era fatta così acuta, così
squisita, così fremente alla minima impressione, che quanto li
circondava era complice del loro abbandono. Quando donna Grazia
passeggiava sotto gli ombrosi viali della sua villa di Sorrento e fra gli
aranci odorosi le arrivava il canto sottile di qualche voce innamorata,
un improvviso fiotto di lacrime la inteneriva: e coloro che

l'accompagnavano, si meravigliavano. Quando ella vedeva, nella sera,
dalla sua terrazza, levarsi la luna sul golfo napoletano e tutte le case
intorno soffondersi di bianca luce molle, una collera le saliva alla gola,
di non essere via, di non essere con lui, in quell'ora di dolcezza, una
collera contro il tempo che fuggiva, contro gli ostacoli che si
frapponevano al suo amore e contro sè stessa che non sapeva vincere
gli ostacoli. E a Roma, l'autunno è apportatore di novi, profondi
turbamenti alle anime già turbate: quando Ferrante portava il suo
vagabondaggio a Villa Borghese, dove ancora i viali pare che
conservino la appassionata fantasima di Beatrice Cenci, ogni ombra
femminile, snella, dal volto pallido e bruno dietro la veletta, lo facea
trasalire; quando egli
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