Larte di prender marito | Page 8

Paolo Mantegazza
e perchè della società umana non conosceva che la casa della mamma e la scuola; modesto, perchè aveva studiato molto e sapeva moltissimo; ma il suo ideale era così lontano e così in alto da parergli impossibile raggiungerlo anche con una vita di ottant'anni.
Appena laureato con grandissimo onore aveva subito ottenuto un posto di ingegnere tecnico nella R. Marina, ed era incaricato dello studio delle materie esplosive.
Aveva l'ingegno inventivo e fin dai primi mesi aveva scoperto cose nuove e intraveduto tutta una rivoluzione nel congegno delle torpedini e dei siluri. Non si era affrettato però a vantarsi, nè a pubblicare i suoi risultati.
Era timido, era modesto; ma soprattutto non era impaziente. L'impazienza è dei deboli.
Ora in congedo da Spezia, dove aveva il suo ufficio, si trovava in vacanza a Firenze, dove la mamma lo aveva spinto a entrare in società.
"Tu hai bisogno di riposarti (gli aveva detto) dei tuoi studii e devi conoscere il mondo, in cui devi vivere e che tu ignori affatto. Non sei solamente un ingegnere, ma un uomo."
E il Rinaldini aveva ubbidito, non direi a malincuore, perchè sentiva anch'egli il bisogno di vedere e conversare in un mondo per lui nuovissimo e sentiva una grande curiosità di trovarsi con persone d'altro sesso.
Vide Emma e se ne innamorò lì per lì, come colpito da quel famoso coup de foudre, per il quale psicologi e romanzieri non hanno trovato una parola migliore.
Per lui, con un'ingenuità indegna del suo tempo, amare e sposare erano sinonimi: ma come aspirare alla mano di una fanciulla bella, colta e anche ricca? Egli, che non aveva che la sua professione e una modestissima agiatezza da parte della sua famiglia?
Ma d'altra parte, come rinunziare a quell'amore, che aveva occupato tutto il suo cuore e subito, dilagando senza ostacoli in quell'anima così vergine?
Dopo averla veduta la scienza non gli bastava più e parevagli che la scienza con Emma sarebbe il paradiso in terra, senza di lei una landa sterile, arida, un deserto senza oasi.
Sembrandogli il suo amore un'utopia aveva provato a tenersi lontano dalla casa di Emma, preparandosi poco a poco a ritirarsene del tutto. E con sforzi dolorosi riuscì a non visitarla per tre giorni di seguito, ma non potè giungere al quarto e quell'assenza non servì che a una cosa sola: a persuaderlo che ormai l'amore per Emma e la vita erano per lui una cosa sola. E per ricompensare quasi i dolori di quella sua lunghissima assenza ora egli andava ogni giorno da lei, e i genitori lo festeggiavano e parevano felici della sua assiduità. Soprattutto il padre, che, come uomo di scienza anche lui, aveva subito pesato il valore di quel giovane.
Emma era sempre cortese con lui, sempre alla stessa maniera e null'altro che cortese.
Invece nel Rinaldini l'amore cresceva ogni giorno, e ormai a furia di dilagare, aveva innondato ogni fibra di lui, penetrando nei più sottili meandri della sua vita. Non aveva più nulla da occupare al di dentro. L'alveo del fiume era pieno; e la piena doveva condurre all'innondazione.
Pareva che in questo caso straripando l'amore avesse dovuto manifestarsi al di fuori. Nel linguaggio volgare ciò si chiama dichiarazione d'amore.
Ma la dichiarazione non veniva mai; e tutta la corte, che l'ingegnere faceva alla sua Emma, si risolveva in sguardi continui, ardenti, penetranti come lama di Toledo; terribili come fulmini o teneri come tepori del sole di maggio.
Tutti quelli sguardi non penetravano nulla, non bruciavano nulla, non intenerivano nulla. Si perdevano nello spazio, confondendosi insieme a tutte quelle energie planetarie, per le quali nè fisici nè chimici, hanno ancora trovato l'equazione di equilibrio.
Non andavano però perduti per l'occhio vigile e affettuoso della mamma di Emma, che dopo pochi giorni s'era convinta, che l'ingegnere era innamorato della sua figliuola. E di ciò era, come il babbo, felicissima. Non le pareva possibile trovare per la figliola un giovane più prezioso, che le fosse compagno per tutta la vita.
D'una cosa sola si stupiva assai ed era che Emma non si accorgesse di quell'adorazione silenziosa del Rinaldini e che non glie ne avesse parlato.
Un giorno però ella non potè più tacere e a bruciapelo le domandò:
---Che ti pare dell'ingegnere?
--Del Rinaldini?
--Sì, proprio di lui. Nessun altro ingegnere viene in casa nostra.
--Uhm.... mi pare che sia un bravo giovane.... molto studioso, molto timido.
--No, voglio dire se ti piace, se ti è simpatico.... se lo trovi bello.
--Non ci ho mai pensato, cara mamma.... Lo trovo un bel giovane, sì; piacente come tanti altri....
Essa aveva detto tutto questo senza arrossire, con un'aria di tanta indifferenza da lasciare addolorata la mamma, che avrebbe desiderato in vece una tutt'altra risposta, magari una confessione di cose quasi gravi... tanto da aver bisogno dell'assoluzione materna.
Rimase parecchi minuti senza parlare. Era piena di stupore e amareggiata da un grande disinganno....
Dopo tutto quel silenzio, per quel giorno la conversazione terminò con un gran sospirone della
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