mamma e con un:
--Quanto sarà felice la donna che diverrà la moglie dell'ingegnere Rinaldini!
Nè il sospirone nè le parole materne commossero il cuore di Emma.
Essa pensava che aveva in quel momento nel nido di rose una lettera di Enrico e che quella sera passando nel nido bianco, essa avrebbe goduto un'ora di ineffabile voluttà, leggendola a centellini, divorandola d'un fiato....
* * *
Il marchese di Acquafredda era l'altro innamorato di Emma.
Un uomo su cui nessuna lingua, fosse la più maledica di questo mondo, avrebbe potuto sfogare la sua malignità. Non era libertino, non era bevitore, non era giuocatore.
Ma nello stesso tempo nessuno avrebbe saputo dirne bene. Era l'uomo più incoloro, più inodoro, più insaporo, come diceva il mio Professore di storia naturale, parlando del diamante. Era buono, perchè non aveva mai rubato nè assassinato, perchè faceva delle opere di carità....
Del resto un vero zero umano. Erede di una gran fortuna, non l'aveva nè accresciuta nè diminuita d'una lira. Badava alle sue terre, alle sue case; leggeva i libri alla moda, andava nell'estate ai bagni o alla montagna, frequentava i teatri e le conversazioni; viveva.
Dei suoi amori giovanili nessuno sapeva nulla. Non era galante, ma neppur scortese colle signore. Aveva da molti anni in casa una bella cameriera, che faceva anche un po' da maggiordomo e che forse aveva risolto per lui il gran problema dell'amore, che tormenta tante migliala di uomini, che semina per le strade della vita tanti feriti e tanti morti.
Insomma il marchese di Acquafredda era, per dirla col linguaggio di moda, un uomo perbene.
Giunto però ai sessant'anni, molto ben conservato, con tutti i suoi capelli che non tingeva, con tutti i suoi denti, che eran proprio suoi; aveva pensato che, non avendo nè nipoti, nè cugini, nè altri parenti lontani che portassero il suo nome, avrebbe dovuto prender moglie e avere un erede, che non lasciasse morire il nome e il blasone dei marchesi di Acquafredda.
Era vecchiotto, ma era sano e arzillo, e scegliendosi una sposa povera o appena agiata, avrebbe potuto coi suoi milioni gettati sulla bilancia del matrimonio far equilibrio alla giovinezza e alla bellezza di una fanciulla, che gli fosse piaciuta.
Ed egli si era innamorato di Emma. Dico innamorato, perchè egli stesso adoperava questa parola, parlando a sè stesso nei soliloqui della notte; quando nel silenzio della solitudine correggeva le bozze della vita quotidiana.
Non avendo pensato a prender moglie prima d'allora, non aveva badato mai alle signorine, e quella era la prima a cui dirigeva gli occhi amorosi con intenzioni oneste sì, ma alla sua età alquanto temerarie.
Quegli occhi erano sempre coperti da due grandi occhiali d'oro e attraverso a quelli passavano sguardi di diversa natura; ora teneri, ora appassionati; qualche volta anche concupiscenti.
Fossero però quegli occhialoni d'oro o i capelli bianchi, che erano tanto vicini ad essi, gli sguardi del marchese nè ferivano nè incendiavano, e neppure vellicavano la pelle di Emma.
Agli sguardi tenevano compagnia dei fiori, dei dolci, dei libri, omaggio dell'adoratore all'adorata. Questa accettava tutte quelle cortesie e galanterie come da un babbo, e diceva spesso:
--Che buon uomo è quel marchese di Acquafredda!
I due amori dell'Ingegnere e del Marchese camminavano, con diversa velocità, ma paralleli l'uno all'altro.
Quello del Marchese correva assai più lesto, perchè i vecchi son sempre impazienti e perchè la timidezza eccessiva rallentava il passo all'Ingegnere.
I giovani però, anche i più timidi, sanno saltare, ciò che i vecchi non sanno, e possono in un giorno riacquistare il terreno perduto in un mese.
Non so se il Rinaldini spiccasse il salto o altro avvenisse di nuovo.
So però che un giorno essi si incontrarono allo stesso punto.
Il marchese di Acquafredda con una lettera modestissima chiedeva al padre di Emma la di lei mano.
E proprio nello stesso giorno l'ingegnere Rinaldini, trovandosi alla sera solo con lei nel salotto nel vano d'una finestra, chiese con voce tremante ad Emma, se vorrebbe dividere la vita con lui.
Emma rispose con tutta calma:
--Per ora non voglio maritarmi.
Quanto al padre di Emma, devo dirvi, che lesse la lettera del Marchese con grande stupore e la passò subito alla moglie.
Non so cosa dicessero tra di loro e come commentassero quella strana domanda. So però che un tragico avvenimento piombò su quella casa fin allora così serena e felice.
Il dottore, partito da Firenze per un consulto a Modena, era morto in vagone fulminato da un'apoplessia.
Vi risparmio la storia del dolore di quella famiglia.
I due pretendenti, che avevano fatto in diverso modo la loro domanda, presero parte a quel dolore, per nulla stupiti di non avere risposta.
Quanto ad Enrico, seguitava a scrivere dalla sua finestra prendendo la sua terza parte nel dolore di una famiglia, che considerava come sua.
CAPITOLO QUINTO.
Il dilemma, anzi il trilemma.
La fanciulla si consulta con un'amica e colla mamma.
Erano passati tre mesi, e la mamma di Emma, volendo distrarre la sua figliuola da un dolore, che il tempo non
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