La trovatella di Milano | Page 7

Carolina Invernizio
proposito--disse il facchino volgendole le
spalle--a rivederci.
Annetta lo richiamò, ma invano. Allora si rivolse alla figlia, che
rimaneva confusa, turbata.
--Guarda se sono i tuoi abiti.
Maria svolse il fagotto e gettò un lieve grido di sorpresa. In mezzo agli
abiti, eravi un cofanetto tutto a dorature, che conteneva un magnifico
finimento in perle ed un biglietto così concepito.
«Signorina--Non ricambierò mai abbastanza il servigio che mi rendeste;
tuttavia serbate per mio ricordo il piccolo dono che vi mando e
rivolgete qualche volta il pensiero a Gabriele Terzi, la maschera
misteriosa, alla quale deste rifugio l'ultima notte di carnevale.»
--Gabriele Terzi--ripetè Annetta--allora quel portasigari non è suo,
perchè non corrispondono le iniziali: basta, non mi soddisfa affatto il
regalo dei gioielli, che intendi farne?
--Ciò che vorrai, mamma.

--Ebbene, siccome qualche cosa mi dice che quel signor Gabriele lo
vedremo ancora, così ci penserò io a restituirglieli: deve essere un furbo
colui, ma troverà pane per i suoi denti.
Maria non replicò: le faceva male udire sua madre parlare così. Non
divideva quelle idee, perchè sentiva di amare il giovane di profonda ed
irresistibile passione. E soffriva per timore di non rivederlo più e si
faceva ogni giorno più pallida, destando nel cuore di Annetta un acuto
dolore.
La popolana malediva fra sè il giovane venuto a turbare la pace della
sua casa; ma trascorso quasi un mese e colui non essendo ricomparso,
Annetta tornò affatto tranquilla, tanto più perchè Maria aveva ripresi i
suoi bei colori, l'allegria di prima.
Povera donna! Se ella avesse seguiti i passi della fanciulla, ogni
qualvolta questa usciva alla mattina per alcune compere o per delle
commissioni di clienti, l'avrebbe spesso veduta entrare furtiva in una
modesta casa presso il Mercato delle erbe, salire all'ultimo piano dove
il marchese Diego Tiani, sotto il nome del suo rivale Gabriele Terzi,
stava ad attenderla.
La prima volta che Maria l'aveva incontrato, uscendo sola, credette
venir meno dalla gioia; tuttavia quando egli le si accostò, apparve
fredda, quasi indifferente. Ma presto il ghiaccio si ruppe: il giovane le
aveva parlato dapprima timido, commosso, poi si abbandonò al
linguaggio artificioso, fiorito, seducente di tutti i libertini che hanno
designata una vittima, affascinando Maria, facendole battere il cuore a
colpi precipitosi.
Coi più vivi colori, Diego le dipinse l'amore che l'aveva infiammato per
lei, la gioia che avrebbe provato sentendosi corrisposto, l'avvenire
pieno d'inebrianti speranze, di continua felicità che li attendeva.
E l'incauta cadde nel laccio.
Ella si recò agli appuntamenti nella casa designatele, in un quartierino
ammobigliato, che Diego aveva preso in affitto per lei, dicendole essere

costretto ad agire così, fino a quando avrebbe ottenuto da suo padre il
consenso al suo matrimonio.
Maria non aveva alcun sospetto dell'inganno di cui stava per essere
vittima. Credeva realmente che quel bellissimo giovane, il quale le
giurava con tanto calore di farla sua moglie, si chiamasse Gabriele
Terzi. Non prendeva informazioni: le sarebbe sembrato offenderlo:
fidava in lui come in Dio: gli aveva offerta, donata la sua intera
esistenza.
Eppure Maria non era in fondo così lieta come per il passato: se
provava delle gioie vivissime, inebrianti, aveva altresì dei momenti di
disperato rimorso. Ed era quando sua madre la stringeva al seno, la
baciava, fissandola negli occhi, chiamandola la sua dolce, la sua pura
creatura.
Sorrideva la misera fanciulla e per celare le sue angoscie, aveva impeti
di allegrezza folle, che Annetta non comprendeva.
Intanto Diego, il Genio del male, andava diritto al suo infame scopo.

CAPITOLO QUINTO.
Tradimento.
Adriana si era levata ed avvolta ancora nell'accappatoio da notte, coi
capelli disciolti, scarmigliati, passò nel suo spogliatoio e sedette
dinanzi all'alto specchio, attendendo la cameriera che venisse a
pettinarla.
La fanciulla era pallidissima e appena seduta rimase immobile, pensosa,
con le candide mani abbandonate sulle ginocchia, come dimentica di
quanto la circondava, assorta in un sogno di amore e di tristezza. Due
figure si staccavano luminose dal fondo della sua meditazione: quella
di Gabriele e quella del padre. Il primo le richiamava sulle labbra un
angelico sorriso di speranza; l'altro le empiva gli occhi di lacrime
amare.

Dall'ultimo colloquio che ella aveva avuto col conte, questi non le
aveva più rivolta un'amabile parola, un sorriso affettuoso, una carezza.
Si mostrava di una freddezza pungente, di una placidità irritante.
L'unica cosa che consolava alquanto la fanciulla, era di non dover più
sopportare la presenza del marchese Diego: egli non si faceva più
vedere da lei, pareva essersi allontanato dal palazzo.
Adriana si trovava già da alcuni minuti assorta nei suoi pensieri,
allorchè si alzò pianamente una portiera e comparve il conte.
Egli si fermò un istante a contemplare la figlia, il cui languido
atteggiamento, mostrava un abbandono, uno sconforto indicibile, poi la
chiamò dolcemente a nome.
Adriana a quella voce balzò in piedi confusa, arrossita di essere
sorpresa in quello
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